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LE STORIE NAPOLEONICHE
 

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GLI AMICI DEL MEDAGLIERE 

 

UN GENERALE DI NAPOLEONE POCO NOTO

 

Di Rossana Piccioli

 

 

Seconda parte
 

PISTOIA: ACQUISTO VILLA MONTEBUONO

La tradizione orale ci racconta che il giovane Generale si trovasse al seguito di Napoleone Bonaparte, quando un mattino del 26 giugno 1796, con il suo esercito di sedicimila uomini arrivò a Pistoia, in transito, verso Firenze, per recarsi dal Granduca di Toscana. In quell’occasione, anche se non esistono documenti ufficiali, Napoleone, fu ospite nella villa di Montebuono di proprietà dei Panciatichi. Nella stessa occasione, molto probabilmente, il Generale ebbe modo di rimanere incantato dalla bellezza del luogo che circonda la villa di Montebuono a Pistoia, e successivamente nel 1811, in qualità di Capo del Dipartimento del Mediterraneo, vedrà realizzare il suo desiderio. Nel contratto originale, di cui copia conservata, nell’archivio di famiglia dalla sua discendente contessa di Maria Clorinda Bocchi Bianchi, si poteva leggere che il 5 maggio 1811, il suo avo Jean Baptiste Marie Christophe de Franceschi, acquistò la villa di Montebuono a Pistoia, consistente in numero 45 stanze da terreno a tetto, la compravendita avvenne tra le mura della stessa in presenza del notaio Gargiolli di Firenze, alle ore ventidue, per una somma di 294.000 franchi, equivalenti a 50.000 scudi fiorentini.

La venditrice fu la nobildonna Tommasa Panciatichi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Villa Montebuono.

 

 

 

IL GENERALE E LA FAMIGLIA PRENDONO DIMORA A MONTEBUONO

Non sappiamo esattamente in quale data il Generale lasciò la sua residenza nella città di Livorno, per arrivare a Montebuono con la sua famiglia, purtroppo non ci sono tracce di documenti che attestino l’evento, possiamo dedurre, da quanto raccontava la contessa Bocchi Bianchi con un discorso rilasciato ad una intervista per un'Associazione di Studi Corsi, nel 1974, nella città di Bastia, riferendosi ad alcune carte riguardanti lo stato di servizio del suo avo, che questo avvenne nel mese di agosto del 1812, probabilmente durante un permesso, per godere momenti di tranquillità  con la sua famiglia in un luogo circondato dalla quiete della campagna che tanto aveva desiderato, ma così non fu, perché venne quasi subito richiamato in servizio nella Grande Armata del Nord.

Di fatto, ci accorgiamo che il generale non abitò che pochi mesi la dimora, dato che, poco dopo il suo arrivo, fu richiamato alle armi.

 

LA DIPARTITA DEL GENERALE

Già dall’inizio del 1812 Napoleone mobilitò anche le riserve per radunare l’immenso esercito che avrebbe dovuto invadere la Russia, pertanto richiamò in attività, nella Grande Armata del Nord, anche il Generale, nominandolo comandante della 34° Divisione. Il Generale, di conseguenza dovette lasciare la villa di Montebuono a Pistoia, dove aveva sperato di trovare riposo, dopo la disastrosa guerra in Spagna, disilluso dalla carriera militare, ormai compromessa, fu posto nella riserva dell’esercito. Non sappiamo la data esatta della partenza, però è certo che il 15 settembre 1812, fu redatto dallo stesso Generale un testamento olografo nella sua dimora, conservato nell’archivio familiare, da cui si evince che la partenza è avvenuta giocoforza dopo quella data.

Una carrozza era giunta a Montebuono per condurre Jean Baptiste a Livorno; da quel porto una nave lo avrebbe portato a Tolone insieme agli altri richiamati che si trovavano nella Toscana. La moglie, dopo aver abbracciato il generale, era poi rimasta ferma sulla porta della villa mentre la carrozza si avviava lungo il viale alberato che allora collegava Montebuono al piccolo borgo di Barile, sulla Lucchese; ad un certo punto aveva visto spuntare dallo sportello laterale la mano del marito che agitava un fazzoletto in segno di saluto.

Fu quella l’ultima immagine del generale, perché dopo, per anni non se ne seppe più niente.

L’antico racconto tramandato dalle generazioni dei contadini delle campagne circostanti che avevano visto il generale partire e tornare tre volte indietro a baciare la sua sposa ed abbracciare i figli, è rimasto nella memoria della gente fino ai giorni nostri.

 

Possiamo affermare, che il generale raggiunse il teatro di guerra, in quella scena che fu la ritirata. Dopo l’inutile conquista di Mosca (settembre 1812), Napoleone, che si era reso conto della trappola in cui il comandante russo Kutozov lo aveva cacciato, decise di ritirarsi prima che arrivasse l’inverno. Il 18 ottobre i resti della grande armata uscirono dalla città, attraversando il territorio russo da Smolensk fino alla Polonia ridotto a terra bruciata, continuamente attaccati dalla cavalleria cosacca. Dopo il passaggio della Beresina sotto una tempesta di neve (novembre 1812), che aggravò ulteriormente le perdite dell’Armata, i superstiti cercano di riorganizzarsi nella Prussia orientale ponendo l’assedio a Danzica, mentre Napoleone, abbandonato l’esercito, si affrettava a rientrare a Parigi, dove già si avvertivano i segni di una rivolta. Le testimonianze ufficiali, ci raccontano del Generale impegnato nella laguna della Vistola, e dopo aver difeso il fronte sulla Vistola e le fortificazioni di sud-ovest, tra Ohra e Stolzenberg, si rifugiò con il resto del suo comando a Danzica, dove il peggior nemico l’attendeva, il tifo. L’epidemia, causata dalle cattive condizioni igieniche ed aggravata dal rigido clima e dalle pessime condizioni di salute dei soldati, scoppia con violenza e arriva nel febbraio a mietere fino a 130 vittime al giorno. La malattia infuria fino a primavera, uccidendo da febbraio ad aprile 9.000 persone, la malattia mise fine anche ai giorni del giovane Franceschi nella stessa città di Danzica il 19 marzo 1813, a soli quarantasette anni. Venne sostituito dal generale Devilliers.

L’atto di notorietà della sua morte fu redatto dal notaio Pietro Leopoldo Gaggioli di Pistoia, in data 20 marzo dell’anno 1815. Un estratto in copia semplice era conservato nell’Archivio di Montebuono. Vi si poteva leggere:

 

 

<<...Su giuramento di cinque ex militari dell’esercito francese risulta che il generale Franceschi nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 1813 comandava la 34° divisione militare francese della detta città. Era alloggiato in una strada così detta degli ebrei, che conduce[...]; che si ammalò nella stessa città e nel marzo (non ricordano il giorno) accadde la sua morte. Hanno assistito nella chiesa cattedrale di Santa Maria di detta città di Danzica al cordoglio funebre, alle esequie ed allo sparo ed agli altri onori militari; ricordando che fu sepolto in detta cattedrale, con sterro, racchiuso in una cassa...>>.

 

La notizia arrivò alla famiglia dopo circa quattro mesi, la vedova non potette fare altro che recarsi a registrare la notizia del decesso del marito nel "Libro dei Morti", della Chiesa di San Pantaleo all’Ombrone, Diocesi di Pistoia, dove anche oggi si trova un paramento talare con lo stemma della famiglia dei Baroni de Franceschi ed un lasciapassare del Generale.

 

COSA RESTA DELLA STORIA?

Cosa resta della storia? Dopo la dipartita dell'ultima erede del Generale, la contessa Maria Clorinda Bocchi Bianchi, avvenuta nell'anno 1988, il patrimonio è stato diviso per le spettanze di eredità e per passaggi di proprietà, compresi passaggi non ufficiali che hanno creato stupore e di cui i quotidiani locali hanno parlato. Unica cosa intatta rimangono gli affreschi che meravigliano per tanta maestria, l’altare marmoreo della cappella, una testimonianza del tempo che fu, all’ultimo piano il grande armadio guardaroba, veramente immenso, in legno di cipresso, in mezzo un tavolo largo e lungo occupa la stanza, lasciando il perimetro necessario per muoversi, questa è la stanza più intima della villa, la stessa che ha visto i preparativi dei panni per le nascite, i ricami dei battesimi, i preparativi concitati e frenetici delle nozze, le vesti nere dei lutti, stanza che raccoglieva i segreti della vita in villa. Dagli armadi, che sembrano bocche aperte in un grido di sgomento, si intravedono gli abiti il cui stile rievoca le divise del generale napoleonico, la presenza di un grande baule segnato dal tempo ci ricorda le sue missioni. Dell’archivio di famiglia restano qua e là diverse carte. Di fronte a tale testimonianza, l’atmosfera si fa quasi surreale e sembra di essere sospesi nel tempo, siamo di fronte ad una storia non finita, ancora viva e presente tra di noi. Cercando con lo sguardo, catturiamo l’immagine di posticci lasciati sul tavolo accanto alle ciocche di capelli naturali da aggiuntare come, se il lavoro dovesse  venir ripreso da mani sapienti, e ancora, dappertutto, scatole in latta e scatolette di ciniglia traboccanti di bottoni in madreperla e in color oro ancora lucidi come usciti dalla bottega di un orafo, matasse di lana, nappe di seta, tessuti di broccato, un metro in avorio, girotondi di nastri colorati, rasi che catturano la luce dall’immensa finestra e velluti nelle cui trame si sono intrecciati due secoli di storia. Ed ancora vecchie scatole piene di corrispondenza e fotografie, fogli pieni di parole che sono rimaste mute, dove gli eventi si intrecciano alle persone che vi hanno abitato per due secoli.

Lasciando la villa, ci accompagna il profumo intenso dei limoni che sembrano paladini di questa storia, gialle maestà, ancora prosperi, nonostante le secolari radici, testimoni di vita, ci regalano un anelito di speranza di poter ridare un giorno non troppo lontano, la magnificenza che merita l’oggetto della loro testimonianza.

 

 

Rossana Piccioli

 

 

 

Fonti:

-

Archivio familiare de Franceschi

 

 

Bibliografia essenziale:

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