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LE STORIE DEL MEDAGLIERE
I FUCILI DI NAPOLEONE
dal modello 1777 all'Anno IX
Parte seconda
Trattando dei fucili napoleonici indispensabile è parlare anche di altri aspetti ad essi legati. Il propellente era la polvere nera di un unico tipo detta da munizione uguale per l'artiglieria come per le armi portatili composta da ¾ di salnitro, 1/8 di carbone di legna e 1/8 di zolfo; era formata da grani relativamente grossi, da 300 a 400 per grammo. Dopo 50 o 60 colpi a causa delle fecce che si creavano la canna necessitava di essere pulita con uno straccio umido avvolto sul cavastracci, in dotazione ad ogni soldato, fissato sulla bacchetta che era filettata al vertice.
Le palle erano di piombo sottocalibrate per permettere una facile introduzione nella canna. In epoca napoleonica misuravano 16,3 mm. (a fronte di un calibro nominale di 7,5mm). Per sigillare lo spazio che si creava tra l'interno della canna e la pallottola quest'ultima veniva introdotta avvolta nella carta della cartuccia. Queste erano confezionate a livello reggimentale in pacchetti da dieci o quindici. Durante le campagne militari erano trasportate in casse situate all'interno dei cassoni dei carri d'artiglieria. I tamburini avevano il compito, durante il combattimento, di fare la spola per rifornire le truppe in linea.
I soldati portavano nella giberna 35 cartucce di carta contenenti la palla e la giusta dose di polvere. Nello zaino avevano altri due pacchetti da 15 per una dotazione complessiva di 65 colpi.
La sequenza per caricare l'arma era la seguente. Il cane veniva portato a mezza monta, si apriva lo scodellino si prendeva la cartuccia e si strappava con i denti la linguetta in corrispondenza della polvere, si riempiva di polvere lo scodellino, lo si chiudeva con la martellina, si versava il resto della polvere nella canna e si abboccava la palla avvolta nella carta, quindi con la bacchetta la si spingeva con un paio di colpi fino a battere sulla polvere, si rimetteva a posto la bacchetta, si alzava del tutto il cane e si era pronti a sparare. La cadenza di tiro per un soldato addestrato era di due/tre colpi al minuto. La portata teorica con i progressi nel campo della fabbricazione delle polveri in epoca napoleonica era di 200 metri, quella effettiva molto minore ed assai difficilmente superava i 50. Le prime scariche erano le più importanti perchè le più efficaci. La visibilità era ancora discreta prima di venire avvolti dalla fitta nebbia causata dalla polvere nera e tutti i fucili erano in grado di sparare. Con le scariche successive infatti accadeva che nell'eccitazione della battaglia venissero sovrapposte le cariche, venisse infilata la palla prima della polvere o fosse dimenticata la bacchetta nella canna perdendola al momento dello sparo. Molti soldati poi si ferivano con la baionetta innestata o venivano colpiti agli occhi dalle scintille del compagno di fianco. Fondamentale era l'addestramento che richiedeva tempo ed esperienza. Non sorprende che gli eserciti rivoluzionari o con militari scarsamente addestrati ma numerosi mirassero alla vittoria con vigorosi attacchi alla baionetta.
Nella giberna oltre ai colpi, erano altresì custoditi un cacciavite, un cavastracci/cavapalle da avvitarsi alla bacchetta, pietre focaie di ricambio, fogliette in piombo per il fissaggio delle pietre e l'occorrente per la pulizia dell'arma. Sulla cinghia all'altezza del petto era fissato ad una catenella uno spillone per sturare il focone.
Quale ultimo aspetto tecnico è giusto dare qualche ragguaglio sulle pietre focaie che venivano utilizzate ed erano parte fondamentale dell'intero ciclo di sparo.
Esistevano pietre focaie di diversi colori: bionde, brune, nere e rosse. Non tutte andavano bene o perchè troppo dure con conseguente danneggiamento della martellina o perchè troppo morbide e quindi soggette a spezzarsi al contatto della stessa. La zona francese per eccellenza ove trovare le pietre ideali era la Vallée du Cher, nel bacino della Loira, tenuta presto sotto controllo dai vari ministeri della guerra. Talmente alta era la loro qualità che furono massicciamente esportate in tutto il mondo finché durante il periodo rivoluzionario non ne fu impedito il commercio con l'estero.
Si creò quindi un mercato di contrabbando con pesanti pene per i trafficanti dichiarati nemici della repubblica. Nacquero anche artigiani intagliatori assai abili impiegati alle strette dipendenze dei ministeri della guerra il cui lavoro veniva considerato segreto militare. Una buona pietra focaia garantiva 50 colpi prima di dovere essere riaffilata ed in ambito militare era prevista una dotazione di pietre ogni 30 colpi. Fondamentale era che fossere ben trattenute dalle ganasce del cane. A tal fine venivano forniti ai soldati dei sottili fogli di piombo ed un cacciavite. Era vietato utilizzare in sostituzione delle lamelle di piombo carta o panni di qualsivoglia tipo perchè soggetti ad incendiarsi e rilasciare scintille assai pericolose al momento del caricamento. Altresì vietato era appiattire pallottole di piombo, poiché di solito ciò veniva fatto con il calcio del fucile che facilmente poteva in tal modo spezzarsi. Ai graduati era fornito uno speciale attrezzo composto da cacciavite, scalpello e martelletto per potere svolgere tutte le operazioni necessarie al corretto montaggio delle pietre focaie nel corso della battaglia.
Per dare un'idea della logistica necessaria in epoca napoleonica per garantire l'efficacia delle armi in dotazione ai reparti, basti il seguente dato:
per una campagna militare di 48.000 uomini erano da considerarsi 204.000 pietre focaie e 1.440.000 cartucce!
Terminato l'esame degli aspetti tecnici dei fucili da fanteria napoleonici è doveroso, per lo studioso di storia militare, trarre delle conclusioni sul loro impiego e su quanto abbiano pesato nelle campagne napoleoniche anche confrontandoli con quelli delle potenze nemiche ai quali si contrapposero. Il modello 1777 ed il successivo Anno IX furono in sostanza determinanti per i successi di Napoleone? La risposta è negativa se si considera l'aspetto tattico, ma positiva se si considera l'aspetto logistico.
L'Imperatore non si interessò mai in modo particolare all'armamento leggero delle proprie truppe e non prese mai in considerazione i nuovi prototipi di armi che ingegnosi inventori proponevano piuttosto di frequente all'intendenza militare. Confidò piuttosto nell'uso spregiudicato dell'artiglieria da campo e nello spostare velocemente grossi corpi di fanteria indirizzandoli sul punto di rottura dello schieramento nemico. La cosa fu indubbiamente decisiva sui campi di battaglia tradizionali, ma la mancanza di tattiche alternative mostrò tutta la propria debolezza sui teatri di guerra non convenzionali quali la campagna di Spagna vinta dagli inglesi armati col ben più mediocre Brown Bess. Fucile antiquato, fragile e di difficile manutenzione il Brown Bess, anche nella versione migliorata India Pattern, perdeva il confronto tecnico con gli equivalenti francesi.
Brown Bess, modello India Pattern di epoca napoleonica appositamente fabbricato dall'armaiolo Wilson di Londra per un corpo di volontari.
Cartella del fucile Brown Bess di Wilson.
I britannici tuttavia potevano contare su soldati professionisti molto più addestrati della media di quelli napoleonici, su di un ottima artiglieria ed un'eccellente cavalleria oltreché sulla marina, vera vincitrice del lungo confronto. Inoltre memori dell'esperienza americana ove sul campo avevano pagato un duro prezzo alle armi rigate ed alle relative tattiche di guerriglia, organizzarono corpi speciali di fanteria leggera armati di carabine rigate quali la Baker che si dimostrarono decisivi nella campagna spagnola.
Figurino tratto dal libro: Histoire de l'Armée et de tous le regiments -par M. Adrien Pascal – Paris, 1847.
Quanto agli altri eserciti, quello austriaco e quello prussiano erano armati di fucili di concezione simile a quelli francesi, ma di qualità tecnica peggiore e con ritmi di produzione non paragonabili per quantità e qualità. Erano già presenti nei due eserciti corpi di cacciatori armati di carabine rigate, ma impiegati male tatticamente non riuscirono ad andare oltre ad azioni di disturbo senza essere mai decisivi.
Figurino tratto dal libro: Histoire de l'Armée et de tous le regiments -par M. Adrien Pascal – Paris, 1847.
L'esercito russo era armato con fucili cloni di quelli francesi con armi a volte di tipo particolare in dotazione alle truppe cosacche sui quali non è il caso, in questa occasione, di soffermarsi.
Dove invece il modello 1777 ed il successivo Anno IX si mostrarono determinanti per le campagne napoleoniche fu il lato logistico. Con gli eserciti rivoluzionari prima e quelli napoleonici poi si entrò infatti nell'era della guerra totale con grossi eserciti che più che sulla professionalità facevano leva sul numero. L'epoca degli eserciti dinastici era definitivamente tramontata e per la guerra iniziava un nuovo capitolo, rimasto in sordina dopo le campagne napoleoniche alle quali seguì in occidente un periodo relativamente pacifico caratterizzato dalle espansioni coloniali con l'impiego di piccoli eserciti nazionali e da rivoluzioni importanti sotto l'aspetto politico, ma scarsamente rilevanti sotto quello militare e solo dopo la metà del XIX secolo con la guerra civile americana e quella franco prussiana si risveglierà l'incubo della guerra totale culminata nel primo conflitto mondiale del 1914.
Per foraggiare l'immensa macchina bellica napoleonica fu quindi indispensabile potere equipaggiare rapidamente grosse masse di soldati con armi di impiego il più possibile facile e sicuro. Sotto questo aspetto i fucili francesi risposero perfettamente alle bisogna. Facilmente e velocemente riparabili sul campo di battaglia sfruttando la compatibilità delle varie componenti, di produzione veloce ma qualitativamente alta non tradirono mai le aspettative, precursori di un'era degli armamenti moderna, con il Gribeauval che sicuramente sarebbe stato fiero del risultato raggiunto grazie alle sue intuizioni e insistenze.
In conclusione e riassumendo quanto scritto in una frase possiamo affermare che i fucili dell'era napoleonica contribuirono sì a costruire un impero, ma che non poterono impedirne il crollo.
Marco Andrea Piermartini
Guida per i sottufficiali edita a Milano nel 1809.
Tavola estratta dalla guida per sottufficiali – Milano, 1809.
Manuale per sottufficiali in lingua francese edito a Roma nel 1798.










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