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QUI REDAZIONE...
LA MEDAGLISTICA:
ARTE FIGLIA DI UN DIO MINORE?
L’estate è la stagione vocata al turismo per eccellenza ed è dunque il periodo in cui, uscendo dai confini ordinari delle nostre vite quotidiane, ci si può imbattere in sorprese culturali talvolta piacevoli e talvolta amare.
Se la scorsa estate mi era capito di scovare per caso nel museo della profumeria di Grasse in Francia, la sala di un tribunale rivoluzionario con i suoi decori alle pareti perfettamente conservati, la scorsa settimana ho invece fatto una scoperta poco gradevole presso la Galleria d’Arte Moderna situata nella Villa Reale di Milano.
Premetto che questo magnifico edificio prende il suo nome dall’impiego che ne è stato fatto proprio in epoca Napoleonica quando fungeva da villa suburbana al servizio prima del Maresciallo Murat e poi del vice Re d’Italia Eugenio Beauharnais.
Al suo interno vi sono infatti ancora i decori dell’epoca con la bellissima sala del Parnaso sul cui soffitto troneggia un eccezionale affresco di Andrea Appiani che chiuse la sua carriera artistica proprio con questo lavoro.
Anche le opere d’arte conservate nella GAM mostrano l’attenzione verso l’epoca napoleonica ed il suo inconfondibile neoclassicismo: vi si trovano infatti opere di Canova, di Appiani e di Bartolini con cui il ductus espositivo si apre a dimostrazione che questa pagina della storia dell’arte non può non essere considerata che il primo capitolo del grande libro dell’arte moderna.
Sarebbe quindi tutto bello se l’occhio attento di chi è abituato ad apprezzare piccoli dettagli spesso apparentemente invisibili, non mi avesse fatto subito notare un bulino nella mano di una statua in marmo posizionata o meglio abbandonata, nel corridoio di passaggio dalla biglietteria alla scala che porta al primo piano in cui si trovano le sale espositive del museo.
Ad una seconda occhiata ho poi notato la presenza, nell’altra mano, di una medaglia cosa che rendeva il personaggio ancora più interessante.
Purtroppo, a differenza di alcuni grandi pittori di cui conosciamo bene le fattezze tanto da farceli riconoscere a prima vista (si pensi a Canova per esempio), per altri artisti, gli incisori in primis, oltre al nome, noto normalmente solo agli addetti ai lavori, non conosciamo altro che ci permetta di identificarne il volto.
Per fortuna a fianco dell’opera vi era il cartellino con la didascalia che, sorpresa delle sorprese, mi informava che l’uomo raffigurato nel marmo non era altri che il grande Luigi Manfredini ritratto dal figlio, anch’egli artista, Gaetano.
Il cartellino mi informava anche che l’opera veniva sotto la formula del deposito, ovvero del prestito a tempo indefinito, dalla Pinacoteca di Brera.
Dopo un primo momento di sorpresa in cui ho notato anche come al collo Manfredini portasse un’onorificenza asburgica (del resto la statua era datata 1843), mi sono subito domandato perché la statua non fosse rimasta a Brera a far compagnia alle tante opere di Canova ivi conservate e poi, soprattutto perché, nemmeno all’interno di questo museo dedicato espressamente all’arte moderna, un’opera pienamente coeva per datazione e stile ed avente ad oggetto il ritratto di un grande artista moderno, non avesse diritto ad essere esposta al piano nobile insieme a tutte le altre, ma dovesse restare in una sorta di limbo o meglio, di purgatorio in un’area ancora palesemente non espositiva fungendo di fatto da “riempi parete” fra due finestre di un anomico corridoio di passaggio.
Si può tranquillamente scommettere che su cento visitatori che percorrono quel corridoio, forse uno noterà la statua magari gettando una rapida occhiata alla sua didascalia (peraltro posta talmente in basso da doversi chinare per leggerla) ed anch’io avrei fatto lo stesso se non avessi riconosciuto al volo lo strumento rappresentativo della sua arte.
Cosa pensare dunque di tutto ciò? Che per molti se non tutti i professionisti dell’arte, l’incisione in genere e la medaglistica ancor di più, non possono aver diritto a rientrare nella categoria dell’arte ma al massimo in quella delle arti applicate a loro volta intese molto spesso più come una forma di artigianato artistico che come una vera e propria forma d’arte.
E come spiegare questa categorizzazione così riduttiva? Semplicemente con l’ignoranza perché non è possibile pensare che uno studioso esperto d’arte non riesca a riconoscere la natura di capolavoro artistico al lavoro di uomini come appunto Manfredini, riuscito a riprodurre sul piccolo spazio di un tondello di metallo, tutti i canoni del neoclassicismo.
Nemmeno il fatto che gli incisori lavorassero su commessa può essere impiegato per giustificarne la loro minor artisticità perché tutti i grandi pittori e scultori dell’epoca lavoravano su specifici incarichi ricevuti dai loro ricchi e potenti committenti.
E’ dunque per cercare di dare la giusta dignità a queste opere d’arte ed agli uomini che hanno avuto l’abilità di realizzarle, che il nostro impegno divulgativo ed informativo si deve moltiplicare ed intensificare sempre di più in modo tale che in un futuro non troppo remoto, a fianco di una scultura di un Canova o di un quadro di un David, possa essere esposta anche la medaglia di un Manfredini o di un Andrieu.
Non sarà affatto semplice ma noi tenteremo fino all’ultimo!
Alain Borghini




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