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 http://www.centotredicesimo.org/

 

 

 

 

Col du Loup 1809

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Un’esperienza di Archeologia militare sperimentale

 

 

 

 

Introduzione

 

Lo scopo di questo breve articolo è descrivere un insolito evento di reenactment dell’epoca napoleonica, svoltosi il 15 e il 16 settembre 2018 a Codilupo, sulle montagne dell’Appennino Toscano, nei pressi di Cantagallo (PO).

Quando pensiamo al reenactment napoleonico, la nostra mente corre subito alla rievocazioni di grandi battaglie, come i bicentenari di Austerlitz (2005) o Waterloo (2015): eventi che coinvolgono migliaia di rievocatori, incentrati su ricostruzioni di combattimenti che possono durare anche qualche ora. È un dato di fatto però, e ben noto agli addetti ai lavori, che spesso queste rievocazioni lasciano piuttosto a desiderare dal punto di vista della living history, ossia della ricostruzione, accurata e fedele, degli ambienti, delle attività e delle atmosfere di un’epoca passata: se infatti le battaglie sono spettacolari, di sicuro impatto emotivo, non altrettanto si può dire per il resto dell’evento. Gli accampamenti somigliano spesso a campeggi moderni; l’organizzazione preferisce pagare un catering per fornire dei pasti, piuttosto che lasciare ai rievocatori il tempo di cucinare; in generale, la scaletta dell’evento, improntata a massimizzare lo spettacolo per il pubblico, raramente permette di rivivere le routine della vita militare del periodo napoleonico.

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Spinti dalla passione per la living history, noi del 113ème Régiment d’Infanterie de Ligne (www.centotredicesimo.org) abbiamo provato a concepire e realizzare qualcosa di diverso: un evento su piccola scala, che coinvolgesse pochi rievocatori, ma improntato all’accuratezza della ricostruzione; un evento che ci permettesse di assaporare davvero, per qualche ora, la vita dei soldati francesi del 1809. 

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La taverna storica di Codilupo

 

La taverna storica di Codilupo nasce dall’impegno comune di tre amici e dalla loro pluridecennale esperienza nel mondo della rievocazione e ricostruzione storica. Stanchi di eventi affollatissimi ma ben poco storici, i tre decidono di allestire un luogo dove poter fare living history “dura e pura” lontano dalle distrazioni e dai vincoli delle rievocazioni “classiche”.

Affittano così un casolare sulle montagne di Cantagallo, in provincia di Prato, e pian piano lo trasformano nella ricostruzione di una taverna del 1700: allestiscono prima la sala da pranzo, poi le camere, tutte arredate con ricostruzioni di mobilio storico, e illuminate solo da lanterne e candele.

Il luogo è già di per sé suggestivo, immerso nei boschi dell’Appennino, ed è un piacere ritrovarsi intorno al grande camino della sala; aggiungiamo il grande lavoro fatto per rendere il luogo “storico” ed ecco che la taverna di Codilupo diventa un setting perfetto per ricostruzioni storiche dal 1600 al 1900. Se poi ci mettete anche che due dei tre osti sono anche membri del 113ème, non potevamo che scegliere questo posto come location per il nostro evento!

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Il 113ème Régiment d’Infanterie de Ligne

 

Difficilmente il 113ème ha bisogno di presentazioni. Nato nel 1995, è uno dei più antichi, più numerosi e più accurati gruppi di ricostruzione storica napoleonica d’Europa: ha partecipato a tutti i più importanti bicentenari, da Loano 1995 a Waterloo 2015, e continua nel suo sforzo di ricordare la Storia e le storie di quei Toscani, Parmensi e Romani che, tra il 1808 e il 1814, servirono nelle armate di Napoleone.

Il gruppo è composto da circa una sessantina di rievocatori (membri attivi del Bataillon de guerre, www.centotredicesimo.org/ir-batguerre-2018 oltre a circa una ventina nella compagnia deposito www.centotredicesimo.org/ir-compagnie-depot-2018) che ricostruiscono tutte le figure presenti in un reggimento di fanteria di linea francese: ufficiali, sottufficiali e truppa, nelle tre specialità dei Granatieri, Fucilieri e Volteggiatori, ma anche tamburini e vivandiere. Fra di loro ci sono giovani alle prime esperienze rievocative, e veterani riconosciuti a livello internazionale come esperti di Storia militare del periodo napoleonico, nonché autori di diversi libri sull’argomento.

Pur essendo addestrati a compiere tutte le manovre sul campo di battaglia, i reenactors del 113ème sono stati fra i primi in Europa a cercare di andare oltre la pura e semplice rievocazione dei combattimenti, per adottare un approccio di living history teso a ricreare il più possibile l’esperienza di vita del fante francese del periodo napoleonico.

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Col du Loup 1809 – l’ideazione

 

Avevamo la location, avevamo i partecipanti… non ci restava che immaginare l’evento. Abbiamo deciso di ambientarlo nel corso della campagna di Spagna, che vide i primi combattimenti del 113ème. Siamo in Catalogna: sono i primi di ottobre del 1809, e il Reggimento, provato dai combattimenti nell’assedio di Gerona, riceve l’ordine di rientrare in Francia per riorganizzarsi e ricevere rinforzi. Ma le strade che portano al passo della Jonquera sono piene di briganti e rivoltosi, che cercano in ogni modo di impedire il passaggio delle stanche colonne francesi…

Abbiamo dunque immaginato di ricostruire un distaccamento del 113ème, composto da pochi uomini validi tratti dalle varie compagnie del 1° battaglione, inviato a presidiare una taverna sulla strada del Col du Loup, come abbiamo voluto ribattezzare la nostra location; Ovviamente, il presidio avrebbe seguito le routine del servizio di campagna dell’esercito francese: dai servizi armati alle corvée. In particolare, la missione del distaccamento sarebbe stata di pattugliare i boschi, per impedire ai briganti catalani, i famigerati micheletti, di sbucare sul fianco di un immaginario convoglio principale e tendere un’imboscata ai carriaggi e ai feriti.

Abbiamo anche deciso che ci sarebbe stato un nemico e uno scontro, ma che il nemico stesso non sarebbe stato in alcun modo visibile fino al momento dell’attacco (a differenza degli eventi “classici” nei quali l’accampamento nemico è a fianco di quello francese, e le due parti si scambiano visite di cortesia per tutta la durata dell’evento). Nessuna informazione sul nemico è stata fatta trapelare al di fuori del ristretto team dedicato all’organizzazione dell’evento: tranne un paio di persone, fra i partecipanti nessuno, nemmeno gli ufficiali, sapeva se e quando i micheletti sarebbero effettivamente arrivati, o in quale numero. Come vedremo, questo ha complicato l’organizzazione dell’evento, ma ha aggiunto un elemento di incertezza che ha reso molto più vera l’esperienza di living history dei nostri ricostruttori.

 

 

Preparazione dell’evento

 

All’inizio dell’estate, siamo entrati nella fase di preparazione dettagliata dell’evento. Questa ha coinvolto sia aspetti materiali che immateriali.

Volevamo che la nostra ricostruzione fosse il più possibile accurata, in ogni dettaglio. Per questo motivo abbiamo fabbricato più di 700 cartucce, secondo la procedura in uso nell’Armata francese, incerandone il fondo e incartandole in pacchetti da 15; abbiamo anche provveduto a allestire le stanze in modo da non lasciare in vista niente di moderno; infine, abbiamo studiato diligentemente, secondo il Manuale della Fanteria del Colonnello Bardin, le razioni giornaliere dei soldati francesi, e abbiamo acquistato il cibo secondo le quantità prescritte.

Un’ulteriore fase di preparazione ha comportato la redazione di tutta una serie di documenti, conformi agli originali del periodo, che avremmo usato nel corso dell’evento: dagli ordini del Colonnello comandante del Reggimento, che descrivevano la nostra missione, ai registri degli uomini e dei servizi da svolgere.

In parallelo, ci siamo dedicati alla pianificazione spicciola dell’evento: abbiamo organizzato i partecipanti in squadre e sezioni, e abbiamo pianificato servizi armati (turni di guardia e pattuglie) e corvée, per tagliare la legna e cucinare. Questa fase organizzativa è proseguita fino alla vigilia dell’evento, con i numeri che (come sempre in questi casi) cambiavano continuamente.

Allo stesso tempo abbiamo coinvolto, nelle vesti del nemico, i nostri amici del gruppo Flos Duellatorum di Lavagna (GE), che si dedica alla ricostruzione di un reparto di Gendarmeria francese del periodo napoleonico, ma possiede anche abiti civili: in questo caso abbiamo chiesto al Flos di vestire i panni dei micheletti catalani. I nostri “colleghi” si sono prestati di buon grado, sobbarcandosi anche un’andata e ritorno in giornata da Genova, solo per il piacere di venire a giocare con noi: infatti, non avevamo alcun budget e non potevamo offrire rimborsi. Gli saremo eternamente grati: senza di loro l’evento non sarebbe mai stato così divertente.

Anche organizzare il “nemico” non è stato semplice: abbiamo dovuto accordarci su orari e luoghi di ritrovo, su come farli avvicinare al casolare senza che il resto del Reggimento se ne accorgesse, e su come avrebbero dovuto svolgere l’attacco; anche qui abbiamo dovuto fare i conti con qualche contrattempo, ma alla fine, come vedremo, siamo riusciti a superare le difficoltà e a far arrivare i micheletti sulla strada del Col du Loup.

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Svolgimento dell’evento

 

E siamo arrivati finalmente al giorno fatidico. L’evento ha avuto inizio sabato 15 settembre intorno alle 9:00, quando il reparto si è schierato nell’aia della taverna, e il comandante della piazza ha ricevuto gli ordini del Colonnello.

Vale la pena ricordare che i due ufficiali presenti, non essendo parte dell’organizzazione, avevano solo una vaga idea di quello che sarebbe stato lo svolgimento dell’evento; solo quando hanno aperto la lettera con gli ordini, hanno saputo in dettaglio la missione da svolgere. Ciononostante, da quel momento è ricaduta su di loro ogni responsabilità sulla condotta del reparto, e gli organizzatori non hanno interferito in alcun modo. Si è così cercato di ricreare nel modo più fedele possibile quell’incertezza che caratterizza tutte le operazioni militari.

Immediatamente si è provveduto alla divisione del reparto in squadre, al comando dei sottufficiali. La suddivisione degli uomini ha fatto sì che in ogni momento una squadra fosse impiegata nei servizi armati, mentre un’altra era dedicata alle corvée. Ogni quattro ore, le due squadre si scambiavano i compiti.

I membri della squadra in servizio armato rimanevano, per l’appunto, “sotto le armi”: in uniforme completa, con habit e shako, indossando le buffetterie e con i fucili (sempre carichi) disposti in fascio d’armi sull’aia della taverna. A turno, gli uomini della squadra in servizio montavano di sentinella, con il compito di sorvegliare le vie di accesso al casolare, per evitare eventuali attacchi di sorpresa: il servizio di sentinella è proseguito ininterrotto per tutta la durata dell’evento, impegnando tutta la truppa.

Il cambio della sentinella avveniva sempre secondo il regolamento: al comando del capoposto, la guardia montante si posizionava a fianco della smontante; poi entrambe facevano fronte l’una all’altra, si presentavano le armi, e si comunicavano le consegne. Ad un ulteriore ordine, riportavano l’arma in spalla e il capoposto riconduceva la guardia smontante al quartiere, mentre la montante prendeva il suo posto.

All’incirca ogni ora e mezzo-due ore, la squadra in servizio armato (con l’eccezione della sentinella di turno) partiva in pattuglia, al comando del proprio sottufficiale. In alcune occasioni, la pattuglia era accompagnata da un ufficiale, per rendersi conto del terreno circostante e capire le possibile vie d’accesso da cui avrebbe potuto avvicinarsi il nemico. Le pattuglie percorrevano un sentiero ad anello, della durata di circa 40 minuti: era avvincente vedere come i reenactors si aggirassero circospetti, guardandosi intorno con attenzione: si aspettavano davvero di essere attaccati da un momento all’altro!

La squadra non impegnata nei servizi armati, in maniche di camicia o in veste à manches, si dedicava alle corvée. Queste consistevano essenzialmente nel taglio della legna, l’accensione del fuoco e il suo mantenimento, e la preparazione del cibo. Attenendoci ai regolamenti e alle memorie dell’epoca, abbiamo deciso di preparare un bouillon: abbiamo messo a bollire la carne e le verdure, ottenendo un saporito stufato che ha riscosso l’approvazione di tutti. L’unica differenza con i soldati dell’epoca è che loro lo mangiavano una sola volta al giorno, nel pomeriggio, al termine di una giornata di marcia o di lavoro; noi invece ne abbiamo gustato un po’ a pranzo, e il resto per la cena: e l’opinione di tutti è che, riscaldato, fosse ancora più buono!

La cena è stato uno dei momenti più suggestivi dell’intero evento: consumata a lume di candela, di fronte al fuoco, ma soprattutto con una tensione palpabile: si avvicinava la notte, e se per tutta la giornata di sabato non c’erano stati scontri, il timore di tutti era che i micheletti ci avrebbero assaliti col favore dell’oscurità: e noi organizzatori ci siamo guardati bene dal dissipare questa sensazione!

Osservare la preparazione del reparto per la notte è stato, per noi, il momento più gratificante: tutti erano profondamente “entrati nel ruolo”, con una partecipazione degna dei più memorabili eventi di living history. È stato straordinario osservare gli uomini intenti a restringere, con barricate di fortuna, l’accesso all’aia della taverna, mentre gli ufficiali confabulavano su quale fosse la posizione ideale dove disporre la sentinella durante la notte, per osservare gli approcci alla taverna senza essere visto dal nemico.

Ogni soldato si è coricato con accanto il fucile carico, mentre il servizio di sentinella prevedeva in ogni momento un uomo all’esterno (con turni di un’ora ciascuno) ed uno all’interno, “a riposo” ma vestito e affardellato, pronto a intervenire in caso di bisogno; al termine del turno la sentinella smontante veniva sostituita dal rinforzo, e prima di coricarsi svegliava il successivo, che prendeva il posto del rinforzo nella sala da pranzo del casolare. In questo modo si assicurava da una parte che non ci fossero momenti in cui l’esterno rimaneva sguarnito; anzi, per la maggior parte del tempo c’erano due uomini pronti a intervenire.

Nonostante questo poderoso dispositivo, nessun nemico ha turbato la quiete della notte, a parte i bramiti dei cervi in amore, che in alcune occasioni si sono avvicinati a distanza di pochi metri dal casolare. Qualcuno dei nostri uomini, poco avvezzo alla fauna selvatica delle nostre montagne, ha manifestato un po’ di turbamento, ma fortunatamente non si sono verificati incidenti.

All’alba di domenica eravamo già tutti svegli. Dopo una colazione a base di un tozzo di pane secco e l’adunata, i turni sono ripresi come da regolamento, alternando corvée e servizio armato; è stata svolta una breve pattuglia, e poi, verso le dieci del mattino, si è deciso di portare tutto il reparto all’esterno, lasciando al casolare solo un ufficiale, uno zappatore e la sentinella. Gli uomini sono stati condotti in un campo leggermente a monte della taverna, dove ha avuto luogo un addestramento intensivo al combattimento in ordine aperto (tirailleurs): apertura e chiusura dei ranghi, fuoco in avanzamento, sul posto e in arretramento.

E proprio quando ormai quasi tutti gli uomini pensavano che alla fine non ci sarebbe stata battaglia, approfittando della nostra assenza, i micheletti hanno attaccato! Salendo dalla strada principale, sono stati avvistati dalla sentinella, che ha immediatamente aperto il fuoco. Scoperti, hanno a loro volta aperto il fuoco, ma sono stati costretti a fermarsi, dando al reparto il tempo di rientrare e di rinforzare la posizione. Lo scontro è stato breve ma intenso: dopo diverse fucilate, il nostro numero ha avuto ragione dei micheletti, che sono stati accerchiati e catturati.

Ne è seguita una breve corte militare, nella quale i ribelli (fra i quali un prete) sono stati sbrigativamente condannati alla fucilazione, che è stata prontamente eseguita. A questo punto, l’evento si è concluso: ci siamo schierati tutti sull’aia, francesi e (redivivi) micheletti, e ci siamo salutati e ringraziati a vicenda. Abbiamo poi apparecchiato all’esterno i tavoli e le panche della taverna, per goderci una “modernissima” pasta al ragù in compagnia, dopodiché, ognuno è ripartito per la sua strada.

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Cosa abbiamo imparato

 

Cosa ci ha insegnato questo evento? Molte cose, a dire il vero, principalmente in due campi. Abbiamo fatto esperienze interessanti dal punto di vista della Storia Militare, ma anche per quanto riguarda l’organizzazione degli eventi.

La prima cosa che abbiamo imparato è in realtà una conferma: la vita del soldato è fatta di estenuanti tempi morti, punteggiati da momenti di assoluta frenesia. In effetti, soprattutto in guarnigione, il tempo passa lento fra le routine della giornata, e se non c’è da marciare da un posto all’altro, da fare addestramento o altro, il soldato ha un certo grado di tempo libero. Come riempirlo spetta a lui… ma ricordate, amici rievocatori: al prossimo evento che farete, non necessariamente tutti devono essere sempre indaffarati.

Il momento in cui l’adrenalina è scorsa ovviamente più forte, è stata la notte. Già di per sé il buio è un elemento ostile, sconosciuto e potenzialmente letale, figuriamoci poi quando dal folto del bosco arrivano suoni sconosciuti, i bramiti dei cervi e lo stridio della civetta; aggiungete l’apprensione per la possibile presenza del nemico (i nostri soldati non avevano idea se e quando sarebbero stati attaccati) e avrete un mix esplosivo. Sono sensazioni difficili da spiegare per chi non le ha provate; basti pensare che, nonostante il sonno, nessuno ha chiuso gli occhi mentre era di guardia, neanche per un istante. L’esperienza ci ha fatto comprendere il perché, nella Storia, di tanti incidenti di “fuoco amico” di notte, agli avamposti: in situazioni del genere, con i nervi a fior di pelle, ogni fruscio è un nemico, e il primo impulso è quello di sparare, senza neanche dare il chivalà!

Questo esperimento, che non esiteremo a chiamare di Archeologia militare ricostruttiva, ci ha anche aiutato a sfatare dei luoghi comuni: per prima cosa, quelli sul cibo. Si racconta spesso che i soldati di Napoleone facevano la fame, che le razioni erano insufficienti e poco appetitose. Questo è sicuramente vero, in alcuni casi, ma come abbiamo dimostrato, un bouillon fatto secondo le razioni regolamentari, con l’aggiunta di verdure di stagione come si possono reperire in loco (come del resto ordina di fare il Manuale di Fanteria) è un pasto nutriente e gustoso. Certo, a mangiarlo tutti i giorni, dopo un po’ viene a noia. Ma quello che ci interessa ribadire è che, in contesti non estremi (la ritirata di Russia, o la campagna di Polonia del 1807), il soldato francese non se la passava troppo male in termini alimentari.

Un altro mito da sfatare riguarda la “scomodità” della vita militare: certo, in campagna, soprattutto in zone desolate oppure in prossimità della battaglia, quando le truppe si concentravano, allora non c’erano case disponibili per tutti, e i soldati erano costretti a pernottare all’addiaccio, perché solitamente le tende non erano disponibili. In tutti gli altri casi, tuttavia, come del resto testimoniano le memorie, la vita del soldato non era così scomoda: non appena si trovavano in prossimità di un villaggio, lo occupavano e ne requisivano le abitazioni; analogamente, si sistemavano in case vere e proprie per tutto il tempo che passavano di guarnigione.

Anche dal punto di vista diciamo così, più da “addetti ai lavori”, da organizzatori di eventi, abbiamo preso diversi spunti interessanti. Per prima cosa, il valore di questi eventi nel creare cameratismo: questo è stato senza dubbio uno degli eventi nei quali ci siamo sentiti più uniti. Certo, l’incertezza, il senso di “giocare in squadra” per non farsi sorprendere dal nemico, ha giocato la sua parte. Ma ha senza dubbio aiutato anche il fatto di aver costruito una gerarchia chiara, e di averla messa alla prova non solo sul campo di battaglia, ma in tutte le routine quotidiane. E stupisce sempre vedere come, nel contesto giusto, tutti si calino nel ruolo, immedesimandosi profondamente: in questo modo migliorano la propria esperienza rievocativa, quella dei loro compagni, e anche quella di un eventuale pubblico.

Certo, come si dice, “chi si loda s’imbroda”... e non vogliamo ignorare i lati negativi di quest’evento. Innanzi tutto, ci sono stati troppi tempi morti: sì, è vero, questa era la routine della vita del soldato; ciò non toglie che avremmo potuto inserire altre attività nella nostra scaletta. Senza esagerare, per non dare l’impressione di aver affollato troppe cose in un tempo limitato, ma avremmo potuto far sì che i nostri compagni se ne andassero con qualche esperienza e qualche conoscenza in più.

Un altro punto dolente è stato la gestione dei nostri avversari. Era fondamentale che non fossero mai visti dai nostri fino al momento dell’attacco, per garantire l’effetto sorpresa; purtroppo però non disponevamo di un luogo dove alloggiarli, fuori portata delle sentinelle o delle pattuglie. Siamo stati quindi costretti a chiedere loro di venire apposta, la domenica mattina, per fare la battaglia: e va a loro onore il fatto che si siano ben volentieri prestati, solo per il piacere della compagnia. Com’era inevitabile, viste le premesse, sono potuti venire in pochi; e i contrattempi che in questi casi accadono sempre, hanno mandato all’aria i nostri piani. Siamo comunque riusciti a combattere un breve scontro, e tutti si sono divertiti; ma ci è chiaro che la prossima volta, dovremo organizzarci diversamente…

Tirando le somme, un’esperienza tutto sommato positiva, che ci ha permesso di vivere momenti fantastici, e di provare per qualche ora, più che in qualsiasi accampamento di una “grande battaglia”, la vera vita del fante francese dell’epoca napoleonica. Ne siamo usciti più ricchi: come storici (nel nostro piccolo), abbiamo accresciuto le nostre conoscenze del periodo, confermando e smentendo qualche mito; come rievocatori, abbiamo imparato a conoscerci meglio e ad immedesimarci davvero in soldati francesi del 1809. In ogni caso, è un bagaglio che ci tornerà utile.

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Francesco Di Leone

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