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LE GRANDI STORIE DEL MEDAGLIERE

 

 

Il patriota Francois Palloy

 

1^ parte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’antica prigione della Bastiglia è universalmente riconosciuta come un’icona della Rivoluzione Francese. Effettivamente è lì che il popolo di Parigi cominciò a prendere consapevolezza delle proprie possibilità ed è da lì che un “normale” tumulto si trasformò nella rivoluzione per antonomasia.

Probabilmente anche per Luigi XVI quel luogo, forse mai personalmente visitato, e comunque sicuramente di scarso interesse come poteva esserlo un luogo di mera reclusione di pazzi, avrà assunto un significato impensabile dopo quella fatidica giornata di luglio del 1789. Quante volte avrà ripensato a quella notte del 14 luglio quando fu svegliato di soprassalto da un valletto che lo informava di quanto stava accadendo nel cuore della sua capitale. All’epoca il re, mezzo assonnato, non fu capace di fare altro se non chiedere se si stesse trattando dell’ennesima rivolta. Il suo domestico, forse più consapevole di lui dello stato di grande fermento in cui si trovava il popolo francese, ebbe la presenza di spirito di replicare che non si trattava di una rivolta bensì di una rivoluzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quel luogo proprio perché così ricco di simbolismo, venne sin da subito destinato ad essere distrutto. In quanto emblema del potere tirannico dell’ancien regime, seppur espugnato e reso inoffensivo, non poteva restare in piedi come se nulla fosse cambiato nella storia di Francia; doveva scomparire dagli occhi della gente così come sarebbe dovuto accadere di lì a poco all’intera impalcatura della monarchia. A dimostrazione dell’apparente assurdità di molte cose che accaddero in Francia a partire da quei giorni, tale demolizione avvenne già a partire dal giorno successivo alla sua presa senza però che vi fosse alcuna decisione ufficiale in merito. L’artefice di questa opera straordinaria fu un privato cittadino tanto famoso all’epoca quanto sconosciuto ai giorni nostri: François Palloy.

Era nato a Parigi nel 1755 da una famiglia di mercanti di vino. Seguiti gli studi fino all’età di quattordici anni, contro il volere dei suoi, riuscì ad arruolarsi nell’esercito in cui militò fino all’età di venti anni. Una volta tornato alla vita civile, riuscì a diventare collaboratore di un architetto impresario di cui sposò anche la figlia e di cui rilevò l’azienda alla sua morte. Alla vigilia della rivoluzione Palloy non era un impresario qualunque. Gli affari negli ultimi anni erano andati molto bene e il suo patrimonio si era rapidamente ingrandito fino a renderlo più che benestante. Le mille esperienze fatte durante la sua giovinezza e la sua grande capacità di relazione, gli permisero di circondarsi di un entourage numeroso e molto vario utilissimo negli anni della rivoluzione.

Questa sua dimestichezza con le attività edili, gli fu utilissima all’indomani della presa della Bastiglia quando, complice un improvviso vuoto di potere e forse incarnando il sentimento di rivalsa comune in tutti i parigini, prese con sé alcune centinaia di operai e cominciò, senza porsi domande sulla legittimità di quanto aveva in mente di fare, a materialmente smantellare la prigione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Molti studiosi hanno cercato di capire come una cosa del genere possa essere successa. La sera stessa dell’occupazione della prigione, come per magia, centinaia (almeno duecento secondo i più), operai si ritrovarono al suo ingresso e, come uno sciame di api operaie guidate da una mano invisibile, cominciarono a smantellare quell’enorme castello. Nessuno si oppose a quella incredibile attività e solo dopo 48 ore, la Municipalità di Parigi ufficializzò “a posteriori” l’opera, deliberando che la Bastiglia dovesse essere distrutta quanto prima.

Come sia stato possibile che la nuova autorità costituita del Comune non abbia potuto fare altro che sancire uno stato di fatto “illegale”, è un’altra stranezza di questa storia. E’ molto probabile però che la rete di relazioni che aveva intessuto negli anni precedenti, abbia permesso a Palloy di eliminare eventuali ostacoli al suo progetto. A partire dalla sera del 14 luglio, il cantiere rimase aperto ed attivo a pieno regime fino alla fine di novembre, arrivando a contare anche ottocento operai per poi chiudersi definitivamente nel luglio del 1790. E’ importante tenere presente che sorta di investimento sia stata quell’impresa. Solo il costo dei salari ammontava a decine di migliaia di lire a cui aggiungere tutta una serie di costi logistici che rendevano l’impresa una sorta di follia da un punto di vista economico.

Anche questo aspetto all’epoca ha dato adito a valutazioni diametralmente opposte di lui e della sua opera così come ha scatenato, soprattutto fra i moderni studiosi transalpini, interpretazioni completamente diverse sulle reali intenzioni di questo personaggio. Normalmente questa impresa è motivata sulla base del suo incrollabile fanatismo nei confronti dei principi rivoluzionari fino a ritenere che il suo desiderio di far parte del novero degli “eroi della rivoluzione” lo abbia spinto a sacrificare ogni altra cosa comprese le sue ricchezze personali.

Per fornire però un’interpretazione più oggettiva, non bisogna dimenticare che l’autore della demolizione della Bastiglia fosse un esperto impresario edile ben consapevole delle potenzialità economiche che una mole così ingente di materiale gli avrebbe potuto fornire.

Si dice per esempio che con le pietre ricavate dalla Bastiglia, non solo abbia potuto costruirsi due case, una a Sceaux ed una in pieno centro a Parigi, ma che quelle residue, una volta vendute, siano state utilizzate per molte costruzioni private ed addirittura per alcune opere pubbliche come il Pont de la Concorde, procurandogli un ottimo ritorno economico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A questo va aggiunta quella sorta di rimborso che la municipalità di Parigi gli concesse una volta ufficializzato il suo incarico. Anche su questo punto le opinioni sin dall’epoca sono diametralmente opposte. Secondo alcuni infatti, il rimborso gli venne pagato per 30 mensilità quando il cantiere durò in realtà meno di un anno a dimostrazione di quanto le sue “aderenze “gli permettessero, almeno per i primi anni della rivoluzione, di operare più che liberamente e quindi speculare dietro quest’opera apparentemente filantropica.

Ciò nonostante, questa sua iniziativa gli procurò un’immediata notorietà e ben presto il cantiere divenne un vero e proprio luogo di pellegrinaggio tanto di gente comune quanto di personaggi di spicco della rivoluzione come per esempio Mirabeau: il famoso nobile paladino del terzo stato.

Addirittura gli stessi operai si trasformavano, al bisogno, in vere e proprie “guide turistiche” tanto da rendere necessaria la produzione di un’apposita insegna di riconoscimento che esibivano al bavero proprio gli operai abilitati a questo servizio.

 

 

 Continua…

 Alain Borghini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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