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LE GRANDI STORIE DEL MEDAGLIERE



UNA STORIA DI EMIGRAZIONE DI DUECENTO ANNI FA
1^parte
L’assidua partecipazione al mondo antiquario ci ha recentemente fatto imbattere in un oggetto che ha subito attratto la nostra attenzione e che poi, dopo un lungo studio, è entrato di diritto nella collezione del Medagliere Napoleonico: una matrice in rame.
Inizialmente ci era stata erroneamente segnalata come un conio ovvero una matrice recante incisi in cavo disegni, figure, iscrizioni, usata per coniare monete o medaglie metalliche.
Già a pima vista ci siamo però resi conto che non fosse quanto inizialmente ipotizzato per due semplici motivi: a) l’oggetto era di rame e non di acciaio cosa che lo avrebbe reso inadatto ad imprimere su di un altro oggetto metallico, quanto in esso raffigurato tramite la pressione del bilanciere; b) il soggetto non corrispondeva a nessuna medaglia conosciuta.
Ciò nonostante, era palese che l’oggetto appartenesse al periodo di nostro interesse per tutta una serie di riferimenti a Napoleone Primo Console, a suo fratello Giuseppe ed al Ministro Chaptal. Purtroppo però la ricca legenda che girava tutto attorno su più righe, era formata principalmente dall’abbreviazione di termini latini che rendeva tutto più difficile da comprendere fino a quando siamo riusciti, novelli Champollion, a capire che vi era un riferimento al cognome Piranesi.
Da quel momento, grazie alle innumerevoli potenzialità della rete e ad un’illuminante tesi di laurea della Dott.ssa Valeria Mirra: “Un’impresa culturale e commerciale: la Calcografia Piranesi da Roma a Parigi (1799-1810)”, la preziosità storica dell’oggetto misterioso è diventata chiara come il sole.
Giovan Battista Piranesi, artista di origini veneziane ma romano di adozione, visse ed operò a Roma alla metà del settecento facendosi conoscere come architetto e soprattutto come incisore appassionato dell’arte e dell’architettura antica.
Da buon esponente del Neoclassicismo allora agli esordi nel gusto culturale europeo, la sua specializzazione era infatti quella di riprodurre su carta, con dettagli perfetti e donando alla composizione un alone di romantica malinconia, le vestigia dei grandi monumenti dell’antichità di cui Roma in particolar modo era ed è ricca.
Figlio del secolo dei lumi e di una visione enciclopedica del mondo, Piranesi cullò per tutta la vita, fino alla morte che lo colse nel 1778, il sogno/progetto di riprodurre il maggior numero possibile di monumenti ed opere d’arte testimoni spesso in rovina ed abbandono, del mondo antico o che proprio in quegli anni, cominciavano a riemergere da secoli di oblio come nel caso di Ercolano e Pompei. I suoi lavori risultavano maggiormente preziosi ed apprezzati proprio perché la sua natura di architetto, gli permetteva di mettere in risalto non solo lo splendore dei dettagli e dei fregi artistici che ornavano le rovine raffigurate, ma anche e soprattutto la loro maestosità tecnica ed architettonica.
Tutto ciò faceva sì che le sue incisioni, che nel tempo raggiunsero un numero davvero ragguardevole, fossero considerate come dei veri e propri testi didattici il cui studio fosse obbligatorio per coloro che avessero ambizioni nel campo dell’architettura moderna. Si riteneva infatti che nessuna nuova costruzione potesse anche solo essere progettata senza avere ben chiari i canoni non solo estetici ma tecnici e statici ricavabili dalle grandi costruzioni del passato.
Le sue opere avevamo quindi un pubblico estremamente vasto che andava dalle grandi famiglie nobiliari interessate a decorare i loro spazi con delle opere d’arte illustranti i capolavori del passato (ricordiamo che le incisioni insieme alla pittura all’epoca erano l’unico modo per mostrare oggetti e luoghi lontani altrimenti irraggiungibili) agli artisti sia già celebrati che ancora in erba che cimentandosi con la loro riproduzione, “si facevano la mano” per prepararsi a progetti artistici personali che, qualunque fosse stata la loro specializzazione, in quegli anni non potevano non fare un esplicito richiamo alla perfezione stilistica dell’arte classica.
La necessità quindi di soddisfare una platea così ampia ed un numero di commesse potenzialmente inesauribile, fece scattare nell’artista l’idea di non limitarsi alla sola parte artistica ma di occuparsi di tutti i passaggi produttivi e distributivi aprendo, nel 1748, la sua bottega di via del Corso in cui si occupava non solo della realizzazione dell’incisione delle sue apprezzatissime vedute di Roma, ma anche della loro stampa e della loro vendita.
Ben presto la sua bottega divenne una sorta di tappa obbligata per tutti i giovani nobili europei di passaggio a Roma durante i loro grand tour. Era infatti chiaro che quella prima forma di turismo internazionale comportasse anche la nascita di un mercato embrionale dei souvenir di viaggio. In base alla sensibilità storica o artistica e soprattutto alle loro disponibilità economiche, i viaggiatori potevano ambire a portare a casa come ricordo del loro viaggio di formazione sia pezzi d’antiquariato presi direttamente nei luoghi visitati che le loro raffigurazioni artistiche con cui mostrare ad amici e familiari le bellezze del bel paese.
Un po' come successe ad un altro grande artista veneto presente negli stessi anni a Roma: Antonio Canova, anche Giovan Battista Piranesi entrò ben presto a far parte di un ambiente culturale di altissimo livello e soprattutto cosmopolita che lo mise in contatto non solo con artisti di tutta Europa ma anche con personaggi politici e perfino teste coronate di tutto il continente. I grandi artisti italiani, ammirati ed invidiati da tutta Europa diventavano delle vere e proprie star internazionali in grado di trovarsi perfettamente a loro agio in qualunque paese europeo grazie alla fitta rete di relazioni intrecciate con i numerosi viaggiatori che avevano frequentato le loro botteghe.
Queste frequentazioni portavano con sé anche un’altra conseguenza, quella di venire in contatto con le più diverse correnti filosofiche, scientifiche, culturali e politiche allora fermentanti in tutta Europa e ben diverse dall’ambiente oscurantista e chiuso che si viveva nella Roma papale di quegli anni.
E’ in questo contesto che crebbero i figli di Giovan Battista Piranesi, nello specifico Francesco e Pietro, gli unici che seguirono le orme paterne. In particolar modo Francesco, il maggiore, sembrava essere destinato a subentrare al padre alle redini dell’avviata bottega di famiglia.
Piranesi infatti, sfruttando le innumerevoli amicizie e conoscenze maturate con artisti di tutto il continente, predispose per il figlio un vero e proprio piano di formazione basato sul suo affiancamento ai migliori talenti internazionali allora presenti a Roma con la non celata ambizione di poter carpire loro il meglio delle conoscenze di ciascuno.
Oltre a questo, l’artista sperimentò anche con il figlio il metodo che era alla base del successo commerciale delle sue opere affidandogli sin da tenera età, il compito di riprodurle. Se Francesco voleva veramente diventare un artista di livello, avrebbe dovuto avere basi solidissime in materia di arte ed architettura antica. Gli anni della gioventù del primogenito di casa Piranesi trascorsero quindi fra la visitazione di rovine antiche, la loro riproduzione su carta, il loro commercio con nobili e facoltosi appassionati collezionisti e la frequentazione delle loro dimore dove gli argomenti trattati non erano sempre solo di natura artistica ma anche politica.
Fu così che, alla proclamazione della Repubblica Romana nel febbraio 1798, i giovani Piranesi imbevuti delle idee giacobine giunte loro tramite gli amici francesi e vedendovi in questa esperienza politica l’unica strada alternativa a secoli di oscurantismo papale, vi aderirono convintamente non limitandosi ad un supporto esterno bensì partecipandovi in prima persona e assumendo carichi di rilievo.
Francesco per esempio divenne direttore della polizia cittadina prima ed amministratore delle finanze poi. Nello stesso periodo Francesco Piranesi avviava un rapporto commerciale ufficiale con il governo francese attraverso l’accordo con i Commissari incaricati dal Direttorio di selezionare le opere d’arte da prelevare in base al trattato di Tolentino, per la compravendita di tre copie dell’intera serie delle vedute di Roma realizzate dal padre.
A dimostrazione della funzione didattica universalmente riconosciuta dell’opera piranesiana, gli stessi Commissari avevano deciso di acquistare tre copie perché ne immaginavano la distribuzione di una copia alla Biblioteca Nazionale di Francia, della seconda all’Institut de France e della terza alla Scuola Politecnica di Parigi.
L’esperienza repubblicana a Roma durò ben poco e la reazione del governo papale neo restaurato, non si fece attendere soprattutto nei confronti di coloro che troppo apertamente avevano prestato il loro sostegno al nuovo progetto politico.
L’alternativa al carcere e forse anche alla forca, non poteva che essere l’esilio a cui si decisero i due fratelli Piranesi così come molti altri giovani intellettuali ormai compromessi.
La scelta della loro nuova destinazione era ovvia; non poteva che essere la Francia verso cui si rivolsero insieme ad un nutrito gruppo di nomi illustri fra i quali spiccava quello di Visconti.
Giunsero in territorio francese via nave nell’ottobre 1799, poche settimane prime del colpo di Stato del 18 brumaio, sbarcando a Marsiglia insieme alla guarnigione francese di stanza a Civitavecchia, al Commissario francese presso la Repubblica Romana e l’ambasciatore francese a Roma.
Già questo dettaglio fa ben capire come la loro posizione rispetto alle autorità francesi fosse di primissimo piano; ne abbiamo poi un ulteriore conferma analizzando quale fosse il loro bagaglio ovvero una serie di pesantissime casse contenenti le lamine in rame, incise dal padre con tutta la sua collezione di vedute.
Del trasporto in sicurezza di questo ingombrante carico si prese carico addirittura il Ministro della Guerra Berthier che fece organizzare con la massima cura il suo viaggio via terra, da Marsiglia a Parigi. Anche l’accoglienza nella capitale francese fu più che calorosa soprattutto grazie all’intervento in persona del Ministro dell’Interno, Luciano Bonaparte.
Inizia l’avventura francese dei fratelli Piranesi.
Continua…
Alain Borghini





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