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SALA 4

LA CADUTA DELL'AQUILA E LA RESTAURAZIONE

(1813 - 1815)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come una marea umana all’inseguimento dei resti del grande esercito che solo pochi mesi prima aveva fatto tremare tutto il continente, gli eserciti russi prima, poi quelli prussiani, austriaci e svedesi, compirono il cammino inverso sconfiggendo i francesi nella famosa battaglia di Lipsia e ricacciandoli, ormai irriconoscibili, all’interno dei confini francesi.

Assetati di vendetta, i sovrani europei non si accontentarono di liberarsi del dominio napoleonico costringendo Napoleone ed il suo esercito a restare entro i confini francesi. Convinti piuttosto che fosse il momento propizio per far cadere dal trono quell’impostore figlio dell’odiata rivoluzione, gli eserciti alleati entrarono nel territorio francese con l’ardente desiderio di giungere fino a Parigi.

L’estremo bisogno in cui veniva a trovarsi la patria, eccitò per l’ultima volta le ineguagliabili doti di condottiero di Napoleone che condusse la sua migliore campagna militare in difesa del territorio francese. Lo sforzo fu però vano e gli alleati giunsero a Parigi costringendolo all’abdicazione ed all’esilio nell’isola d’Elba.

Sembrava tutto finito ma dopo neanche un anno di esilio, Napoleone, richiamato dall’opinione pubblica francese sempre più nostalgica dell’impero e sempre meno disposta a veder cancellare tutte le conquiste della rivoluzione a seguito del ritorno sul trono di un Re Borbone, lanciò la sua ultima sfida al mondo dando avvio ai famosi “Cento giorni”.

Se la Francia accolse il suo vecchio condottiero come un salvatore, il resto dell’Europa non fu dello stesso avviso. I sovrani alleati, ancora riuniti nel Congresso di Vienna in cui si sarebbe dovuto riportare ordine ad un continente sconvolto da oltre venti anni di guerra, si trovarono immediatamente d’accordo nel dichiarare Napoleone fuorilegge e nemico dell’umanità coalizzandosi di nuovo per la sua definitiva sconfitta.

Il Fato del più grande condottiero di tutti i tempi sì compì il 18 giugno 1815 sotto la collina di Mont Saint Jean a Waterloo in Belgio dove gli eserciti inglese di Wellington e prussiano di Blucher riuscirono, dopo una giornata terribile, a mettere la parola fine a questa titanica avventura.​

Napoleone, costretto ad una seconda abdicazione e confidando erroneamente in un trattamento più onorevole da parte del suo più acerrimo nemico, il sovrano inglese Giorgio III, fu confinato in un esilio ben più sicuro dell’Elba: l’isola di Sant’Elena nel mezzo dell’oceano Atlantico distante migliaia di chilometri tanto dalle coste dell’Africa che da quelle del Brasile. Da lì era veramente impossibile fuggire e infatti, dopo sei anni di prigionia in condizioni ambientali umanamente quasi insopportabili, Napoleone, colpito dalla stessa malattia incurabile che aveva ucciso suo padre tanti anni prima, nel tardo pomeriggio del 5 maggio 1821, morì nel letto da campo che lo aveva seguito su tutti i campi di battaglia.

Per 19 anni la sua tomba rimase inaccessibile in una valle di Sant’Elena protetta solo da un salice piangente.

Nel 1840 però, Re Luigi Filippo, un Borbone del ramo degli Orleans, nel tentativo di ricucire una volta per tutte lo strappo fra la Francia monarchica e quella di rivoluzionaria che considerava Napoleone il suo figlio più illustre, acconsentì a che l’ultimo desiderio dell’imperatore: riposare lungo le rive della Senna in mezzo al popolo che aveva tanto amato, fossero esaudite. Iniziò così un viaggio che lo fece tornare a Parigi il 15 dicembre del 1840. Nel frattempo la sua figura aveva assunto connotati mitici grazie alla pubblicazione delle sue memorie a cura di colui che sin dall’inizio lo aveva accompagnato a Sant’Elena ovvero Emmanuel De Las Cases.

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