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LE STORIE DEL MEDAGLIERE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

STORIE DI CARTA

 

“Jean Duvoisin s’en va à la guerre”

Des hommes ordinaires qui se sont trouvés immergés dans une suite presque ininterrompue de situations exceptionnelles et dramatiques, et confrontés à des privations et à des souffrances inouies que nous ne saurions concevoir de nos jours”, così li definisce Jean-Claude Damamme storico della Grande Armée.

E di questi uomini ordinari, contadini sopratutto, figli del ventre fecondo della profonda Francia il paese più popoloso d’ Europa, esclusa la Russia,  le armate rivoluzionarie, consolari ed imperiali ne hanno macinati a centinaia di migliaia, dal 1789 al 1815, portati sui campi di battaglia di tutta Europa dalla leva di massa e dalla coscrizione obbligatoria.

Questa fu introdotta  dal regime rivoluzionario nel 1793,  in seguito, affinata ed istituzionalizzata nei suoi meccanismi  dal reclutamento per le armate imperiali,  essa chiamò alla leva  tutti i maschi tra i 18 e i 40 anni interrompendo il periodo storico precedente in cui a combattere le guerre erano sopratutto militari di professione; a conseguenza di essa nel corso delle campagne napoleoniche migliaia di uomini scoprirono, con  l’orrore della guerra,  la gloria delle armi.

L’estrazione a sorte tra gli abili di ogni paese, fino al raggiungimento della quota richiesta  di arruolati, sconvolgeva periodicamente la tranquilla vita dei Distretti francesi e se alcuni partivano pieni di patrio entusiasmo tanti altri cui, per censo e condizioni economiche, sarebbe stato impossibile pagarsi la surroga di un volontario, partivano mugugnando e con uno stato d’animo pieno di comprensibile timore per un futuro incerto  e carico di fosche tinte, altri ancora si davano alla macchia aggiungendosi al cospicuo numero dei refrattari che, quando non erano sostenuti e nascosti dalle stesse famiglie e dai compaesani, sopravvivevano, perseguiti dalle colonne mobili delle gendarmerie, destreggiandosi in una condizione di semibrigantaggio.

La durata del servizio era di cinque anni ma molti tornarono ai loro focolari, nei paesi d’origine, solo molti anni dopo l’inizio della leva e così mutati d’aspetto da risultare irriconoscibili persino a madri e padri. Come, esempio noto, François-Joseph Jacquin, granatiere della 37 demi-brigade di linea, partito da Villers nel Doubs, dipartimento francese della regione Borgogna-Franca Contea, il 15 novembre 1798 per ritornarvi esattamente dieci anni dopo il 20 novembre 1808, e per cinque giorni, così segnato da privazioni, miserie e sofferenze che per essere riconosciuto dai genitori e dal fratello maggiore dovette, come prova, mostrare una lettera ricevuta dalla famiglia anni prima.

Bruciati dal sole d’Egitto, assiderati dal freddo dell’inverno russo, decimati dalla mitraglia e dal tifo, seviziati dagli insorti spagnoli, amputati da sedicenti chirurghi senza alcun tipo di anestesia, uccisi dalla gangrena e dalle febbri infettive che infestavano gli improvvisati ospedali, sempre affamati ed alla ricerca di cibo, costretti al saccheggio per sopravvivere, estenuati da marce continue e rischiando ogni giorno di restare uccisi in vario modo, centinaia di migliaia di questi uomini ordinari scoprirono l’onore il valore e la gloria sui campi di battaglia di tutta Europa e restarono fedeli al loro Imperatore, anche dopo la sua caduta,  dimenticando ogni dolore ed ogni privazione davanti al “Petit caporal” o al ricordo delle sue magiche parole: “Soldats, je suis content de vous!”.

Tanti di questi uomini ordinari compirono gesta ancora ricordate, tanti raccolsero sul campo una promozione o l’agognata “Legion d’Honneur”, tanti altri, e sicuramente la maggioranza, combatterono e soffrirono ordinariamente senza essere menzionati nelle cronache reggimentali e senza lasciare traccia di se. Questa parte muta della storia ha fatto la  grande Storia somma di tante piccole storie ordinarie pregne di sentimenti di vario genere e di tanto valore oscuro. E’ per riconoscere un dovuto merito che non possiamo esimerci di rischiarare questa zona d’ombra ricordando con qualche esempio quanti non sono stati, loro malgrado, che esempio  di se stessi.

Essi avrebbero voluto restare nella loro semplice quotidiana esistenza condotta sui tempi lunghi della vita di campagna, dal lento susseguirsi di stagioni segnate dal lavoro, immersi nei loro piccoli affetti familiari e nelle turbolenze della loro ristretta cerchia  familiare ed amicale ed invece si ritrovarono risucchiati nel gorgo della Storia a percorrere paesi sconosciuti, loro che per tutto l’arco della loro vita non avevano mai perso di vista il campanile del loro villaggio, analfabeti scoprirono arte e ricchezze culturali che, molto spesso, depredarono, abituati al ristretto ambiente del loro villaggio scoprirono usi e costumi di genti e paesi molto differenti da loro, a volte  bene accolti e considerati liberatori ed alfieri di un nuovo mondo molto spesso, invece,  ferocemente combattuti come sacrileghi ed oppressori. Avrebbero voluto una tranquilla vita familiare ma furono costretti, volens nolens, a diventare i temuti grognards della Grande Armée per poi finire, dopo il 1815, nell’oblio degli sconfitti, considerati una pericolosa minaccia per il potere  nuovamente restaurato della monarchia borbonica.

Jean Duvoisin nacque nel 1782 a Montbron, un comune agricolo nel Dipartimento della Bassa Charénte, nel sud ovest della Francia, un piccolo comune  che dal 1780 al 1820 non superò mai i tremila abitanti. Era la sua una famiglia contadina o appartenne ad un ceto più elevato di piccola borghesia di provincia? Fu esso imparentato con Jean-Baptiste Duvoisin de Soumagnat di pochi anni più giovane di lui (nato nel 1791 e deceduto nel 1875), medico e sindaco di Montbron dal 1830 al 1838? Questo non lo sappiamo. Dal suo Congé de Réforme sappiamo che il primo ventoso anno II° della Repubblica, quindi a 20 anni nel febbraio del 1802, lasciò le querce ed i castagni di cui era circondato il suo paese natio per arruolarsi, volontario o richiamato, in un reggimento di Chasseurs à cheval. Il suo foglio di congedo ci consegna il suo aspetto fisico: di taglia media, aveva capelli castani, occhi blu, fronte larga, bocca e naso di media grandezza, mento rotondo.

Col  suo reggimento di cavalleria leggera, il nostro Jean  svolse, prevalentemente, compiti di ricognizione, fiancheggiamento della fanteria in movimento, inseguimento del nemico in rotta e  sempre a cavallo fino al 14 settembre 1808, cavalcando per migliaia di chilometri,  servì in sella, in campagne che lo portarono dal Belgio alla Moravia, dall’Austria alla Prussia alla Polonia. In sei anni di campagne e su tanti campi di battaglia Jean riuscì a sopravvivere, facendo il suo dovere, senza riportare ferite mortali o che  avessero potuto compromettere la sua  capacità nell’uso delle armi; così fino al 14 settembre 1808 quando venne integrato al 29° Reggimento di Fanteria di linea col numero 9008 del registro matricola del corpo. In fanteria resterà giusto un anno fino alla data del congedo definitivo avvenuto il 16 settembre 1809, all’età di 27 anni, in Italia ad Asti  nella divisione militare di Torino governata, dal 1808 al 1811, da Charles Berthier (1765/1819), fratello del più famoso Alexandre Maresciallo dell’Impero, che firma il congedo.

Sul retro del documento è riportata la diagnosi della commissione sanitaria che  decise per la riforma, infatti è proprio per motivi sanitari che Jean concluse la sua carriera militare dopo ben sette anni di campagne che potrebbero averlo visto cavalcare ed infine marciare da Austerlitz a Iena, da Eylau a Friedland e Wagram. Beh, il motivo della riforma farà sicuramente sorridere: "emorroidi interne ed esterne con sanguinamento continuo"! E certo, questa, non può essere considerata nel novero delle ferite da eroe di guerra tanto da destare compassione e/o ammirazione ma, a ben pensarci, essa è una causa che rientra appieno nell’ordinarietà della vita di un uomo  in armi sottoposto all’usura fisica continua del servizio, invalidante tanto quanto una grave ferita. E grave la condizione di Jean doveva pur esserlo davvero tanto da spiegare sia il suo essere prima riciclato dalla cavalleria alla fanteria di linea e successivamente il suo congedo definitivo.

Cosa avrà fatto Jean il fortunato una volta tornato a casa in età ancora giovane? Si sarà sposato  considerato che fino alla data del congedo lo stesso ci dice che non aveva contratto matrimonio? Avrà ripreso il suo posto nella famiglia e nella comunità di Montbron o come tanti reduci non  riuscì a reinserirsi nella vita da civile? Sarà stato uno dei tanti grognard à la retraite impegnato a raccontare i fasti delle battaglie dell’Impero nelle veglie contadine del suo paese? E, magari guarito, avrà raggiunto il suo Imperatore nell’ultima avventura dei Cent Jours? E, successivamente, tornato a casa anche dopo l’ultima battaglia, sarà stato tra quelli che avranno conservato il ricordo del proprio passato guerriero cristallizzato sull’effigie impressa sulla superficie di una tabacchiera? A queste domande, sulla base della semplice analisi di un vecchio foglio di carta, non potremo rispondere.

Ma possiamo essere certi che di quel foglio di carta qualcuno dopo di lui ne ha avuto cura e, conservato per oltre due secoli, esso è giunto  fino a noi a testimoniare la straordinaria ordinarietà di un uomo ordinario. Un soldato dell’Imperatore.

                                                                                                                              

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                               

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   Domenico Lentini

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