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LE STORIE NAPOLEONICHE

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LUCIANO BONAPARTE ,

PRINCIPE DI CANINO

Mauro Marroni.

 

25^ parte

Ma il Principe si trovava a Londra dal fratello Giuseppe e, prima che potessero arrivare le sue determinazioni, il 3 dicembre l’Incaricato informa che Don Pietro Bonaparte, autorizzato dal Governo a lasciare il carcere per tornare a Canino, richiede il visto “… Non devo peraltro tacerle che il medesimo è qui tenuto da tutti, senza escludere i suoi più stretti parenti, per un giovine inesperto si, ma discolo e prepotente e, dopo che si è sentito dalla sua bocca e da quella del suo fratello D. Luigi rimasto qui, che essi avevano cercato di effettuare il noto matrimonio per far onta e dispetto ai genitori, capace di qualunque delitto”.

 

Il Principe di Canino non aveva alcuna intenzione di perdonare il comportamento dei figli che rinnovò evidentemente il grande imbarazzo che già gli aveva procurato la fuga del figlio Paolo, anche questo in aperto contrasto con le assicurazioni formali che lui invece dovette fornire al Papa il giorno che la sua famiglia fu riammessa nello Stato della Chiesa. La sua intransigenza venne così comunicata alla Segreteria di Stato che, di conseguenza, comunicò le conseguenti disposizioni:

3 dicembre Riservatissimo Dalla Segreteria di Stato

“Si previene Mgr. Governatore di Roma colla massima riservatezza che ad istanza del Sig. Principe e della Sig.ra Principessa di Canino i loro figli D. Pietro e D. Luigi sono stati richiesti al Governo Toscano e che appena se ne sarà avuta la consegna ai confini verso Acquapendente, ambedue vengano tradotti e rinchiusi nel Forte di Civitavecchia”.

 

E contemporaneamente:

3 dicembre Al Delegato di Civitavecchia:

Ad istanza del Sig. Principe e della Sig.ra Principessa di Canino debbono essere rinchiusi fino a nuovo ordine superiore i due loro figli D. Pietro e D. Luigi in un Forte di questo Stato in via correzionale. Essendosi prescelto il Forte di codesta Città, ambedue vi saranno fra pochi giorni tradotti dalla Forza Pontificia…. Occorre che in conseguenza V.S.I. faccia subito allestire due delle migliori camere destinate per abitazione di detenuti in guisa però che i due fratelli non possano avere alcuna comunicazione tra loro”.

 

Le stesse decisioni, come richiesto “dalla Principessa di Canino in nome proprio e del Principe di cui tiene ampia procura”, vennero comunicate all’Incaricato di Firenze e al Delegato Apostolico di Viterbo perché “ambedue percorrano in una vettura sufficientemente agiata la via che hanno da fare per giungere al Forte”.

 

Ma non è ancora finita: dalla Segreteria partì un contrordine:

10 dicembre - Da Segr.di Stato al Delegato di Viterbo:

“Particolari ragioni hanno indotta la Sig.ra Principessa di Canino a desiderare che i suoi due figli Pietro e Luigi siano tradotti nel Forte S. Angelo anziché in Civitavecchia. Ciò le si è accordato”.

 

Stesse disposizioni di preparare le camere vennero allora date a Forte S.Angelo.

15 dicembre - Da Viterbo: “Il giorno 13 alle quattro pomeridiane fu consegnato dalla Forze di Toscana a quelle dei Carabinieri in C.da Centeno D. Pietro Bonaparte e che il giorno seguente 14 fu egualmente consegnato il di lui fratello D. Luigi … partirono subito in vettura da Acquapendente, pernottato a Bolsena sono giunti oggi circa il mezzo giorno da dove partiranno dopo aver pranzato. Sono accompagnati da un proprio domestico, un Brigadiere e tre carabi- nieri. Ritrovandosi privi di denaro, disposi che lungo il viaggio venissero convenientemente trat- tati avendo anticipato i mezzi al Brigadiere di scorta”.

I due passarono quindi in carcere le feste del Natale 1833. Dopo appena un mese i Principi di Canino dovettero ritenere che la punizione fosse bastevole e richiesero il loro rilascio a fronte di una “promessa di buon comportamento”:

20 gennaio 1834 - Governo Pontificio

“D’ordine della Segreteria di Stato viene ingiunto formale precetto ai Sig.ri D. Luigi e D. Pietro Bonaparte figli del Sig. Principe di Canino D. Luciano Bonaparte di vivere onestamente, e con la dovuta sommissione ai Principe e Principessa loro Genitori, di tenere quel contegno di moderazione, e di tranquillità quale si conviene alla distinta loro nascita, ed educazione, di non molestare in detti, e molto meno in fatti veruno dei domestici, e in qualunque modo addetti alla famiglia de’ loro Genitori; di astenersi da qualunque corrispondenza manovra, o riunione con persone sospette verso il Governo, mentre in caso di trasgressione ad uno o più delle ingiunzioni predette si riserva il Governo di addottare le più rigorose misure, e di agire in conformità dei portamenti dei suddetti D. Luigi e D. Pietro. Dalla Segreteria di Stato 17 Gennaio 1834.

Io Luigi Bonaparte accetto i predetti precetti

D. Pietro Bonaparte egualmente

Si certificano vere le firme dei Sig.ri D. Luigi e D. Pietro Bonaparte figli del Sig. Principe e della Sig.ra Principessa di Canino perché fatte alla mia presenza.

F.S.A. 20 Gennaio 1834 Il Generale Com.te il Forte S.Angelo C.Ancajani”.

 

Vedremo in seguito come non fossero estemporanee quelle allusioni ai corretti comporta- menti da tenere nei riguardi del personale di servizio e ai rapporti con “persone sospette verso il Governo” e torniamo invece alle vicende che riguardano più da vicino Luigi.

 

Non ci sarà sfuggito come in tutta questa corrispondenza non venga mai comunque identificata la “Donna” che aveva sposato Luigi. Di chi si tratta? Lo sappiamo da un’altra lettera che il Feliciangeli scrisse in seguito al Cardinale Bernetti, quando il 10 aprile 1834 volle informarlo delle mosse della moglie del “nipote di Murat”: “… E giacché trattasi di visti da ricusarsi, mi prendo la libertà di significarle, che dopo la vittoria riportata nella causa che si agitò in questa Cancelleria Arcivescovile sulla validità del Matrimonio contratto per sorpresa in faccia al proprio Parroco da Luigi Bonaparte con Marianna Cecchi di Lucca (il matrimonio in effetti venne ritenuto validamente contratto in quanto i due dimostrarono di aver pronunciato per intero le formule di rito – ndr), questa credendosi già Principessa di Canino, ha tentato di recarsi in Roma, o in Bologna Dio sa per quali motivi, e a tale oggetto si munì di regolare Passaporto li 31 Marzo scorso firmato dal Sig. Ministro Manzi di Lucca per effettuare la propria determinazione. Sic- come è un mio amico l’alto Personaggio che mi ha presentato e raccomandato il Passaporto suddetto, così non ho avuto difficoltà di mostrarmi alquanto contrario alla risoluzione della Cecchi e, gli ho detto chiaramente che voleva pensarvi alcun tempo prima di decidermi se doveva accordarle il visto, o ricusarlo. Egli mi consegnò il passaporto, disposto ad uniformarsi ben volentieri a qualunque mia disposizione, pensando probabilmente ch’io voleva prima assicurarmi se alla Cecchi, nello stato in che sono le cose sue colla Famiglia Bonaparte, poteva o non poteva permettersi la venuta nei nostri Stati. Imploro anche su questo emergente le savissime Sue istruzioni…”.

 

Pronta fu la risposta della Segreteria, datata 14 aprile e con la quale venne disposto che: “In quanto alla persona di Marianna Cecchi, Ella si ricuserà costantemente di vidimarne il Passaporto per qualunque siasi luogo dello Stato Pontificio finché nuovi ordini non siano per autorizzarvela”.

 

Non solo, nella stessa data detto divieto fu comunicato al Cardinale Spinola a Bologna e a Mons. Delegato di Civitavecchia, Viterbo, Perugia, Orvieto, Urbino e Pesaro! (tanta solerzia non si aveva nemmeno riguardo ai supposti tentativi di uscita dei vari personaggi della famiglia Bonaparte: evidentemente i Principi di Canino chiesero la collaborazione della Segreteria per frapporre ogni ostacolo al ricongiungimento dei due giovani sposi).

 

Ma come finì questa storia? Qualcosa sappiamo da un rapporto che fu in seguito allegato alla supplica presentata da Alessandrina nell’agosto 1836 (cioè nel pieno dei frenetici e tragici giorni che la Principessa di Canino dovette affrontare a seguito dell’omicidio di cui si rese colpevole l’altro figlio Pietro) per rendere possibile il rientro a Canino del figlio Luigi e di sua moglie. Scrisse Alessandrina al Pontefice: “Ai primi di agosto 1833 due dei figli del Principe di Canino, dimorando in Firenze, una mattina si presentarono ad un Parroco mentre diceva Messa, ed uno di essi cioè D. Luigi pronunziò “questa è mia Moglie” accennando ad una Donna che era al suo lato e la Donna soggiunse “questi è mio Marito”. Per alcuni incidenti il detto Matrimonio clandestino non fu creduto valido, e perché la Giovane cioè Marianna Cecchi Lucchese aveva sortito natali abjetti, la madre, Principessa di Canino, non solo per la di lei parte non l’approvò, ma praticò tutti gli atti opportuni perché avesse effetto la invalidità del Matrimonio. I sedicenti sposi ebbero esilio da Firenze, e dallo Stato Pontificio, qualora avessero avuto in mira di penetrarvi, e la Segreteria di Stato ne diramò gli ordini opportuni. Intanto i suddetti scelsero di entrare nello Stato di Lucca, ed ivi per mezzo di loro Agenti tentarono presso la Curia Ecclesiastica di Firenze la Causa per la convalidazione del loro Matrimonio. Il risultato fu fa- vorevole agli Sposi, ed il Matrimonio fu riconosciuto valido. La Principessa di Canino Madre dello Sposo si fa ora a supplicare Sua Santità di voler togliere tanto al Figlio, che alla Nuora il precetto di non poter entrare negli Stati Pontifici, per la ragione specialmente di aver la giovane Cecchi dato saggi non equivoci di buona condotta da tre anni a questa parte, ed il Figlio essersi fin d’allora dedicato alla scienza e specialmente alla chimica, e ad apprendere le lingue, per cui ama di vederli consolati a convivere con lei. La medesima Principessa nella lusinga che Sua Santità sia per accordare la grazia, in tal corso domanda che il detto suo Figlio possa introdurre nello Stato Pontificio libere di Dazio le Macchine che esso possiede pei studi chimici.”

 

La Principessa allegò alla supplica il certificato in cui

il Consigliere di Stato Presidente del Buon Governo, Direttore Generale delle Porte e Forze Armate del Ducato Lucchese, certifica che, S. E. Don Luigi Buonaparte de’ Principi di Canino e Musignano, da che dimora colla sua Sig. Consorte in questo Ducato non ha mai dato luogo l’uno che l’altra a osservazioni, anzi hanno ambedue sempre tenuto una condotta esente da qualunque censura sia nei rapporti Morali che Politici e inoltre hanno quasi sempre soggiornato come tutt’ora soggiornano in una campagna del Ducato a motivo di ristretti mezzi da non poter dimorare in questa Città con quel decoro che si converrebbe alla sua condizione.

E per esser ciò la verità gli si rilascia il presente certificato munito del sigillo di S.E.R. addetto a questa Presidenza per quell’uso che credesse di farne.

Lucca 4 gennaio 1836”.

 

Vediamo: Luigi richiese la certificazione a Lucca il 4 gennaio e quindi, evidentemente, la mandò alla madre perché potesse richiedere il permesso al suo ritorno a Canino. I due sposi avevano perciò ottenuto il perdono dei genitori e, non avendo i mezzi per mantenersi nella città toscana, pensarono di andare ad abitare, in attesa della autorizzazione, in una delle case che i Principi di Canino tenevano in affitto: il palazzetto di Abbadia San Salvatore. “Giunse con la moglie ed un domestico all’Abbadia il 9 gennaio del 1836, ed in attesa di avere dalla madre la facoltà di entrare nella villa che Luciano teneva colà in affitto da un certo Carli, si ritirò in una casa colonica, dello stesso proprietario nel centro di un castagnaio circa due miglia dall’Abbadia dove conduce con la moglie (parlano ancora i rapporti di polizia) vita romitica e con non poche privazioni” (Andrea Corsini, I Bonaparte a Firenze, Olschki, Firenze 1961, pag.126).

 

Dalla supplica sappiamo anche come, già in quei primi anni e nonostante le evidenti diffi- coltà economiche, Luigi stesse facendo importanti progressi sia nel campo della chimica che come linguista.

 

Fece in tempo a riappacificarsi con il padre dopo il ritorno di quest’ultimo dal suo lungo soggiorno londinese e, durante questa sua permanenza nel castello di Musignano si occupò anche degli scavi che, pur a rilento, proseguivano nella adiacente necropoli etrusca.

Quando verso la fine del 1839 furono ritrovati reperti che contenevano geroglifici molto probabilmente Luciano Bonaparte si trovava già in uno stato di salute precaria (ricordiamo che il Principe morì il 30 giugno dell’anno seguente).

 

Fu Luigi pertanto a contattare il Rosellini per chiedergli la traduzione di quelle iscrizioni. Il 12 gennaio 1840, dalla “Biblioteca dell’Imperiale e Regia Università di Pisa”, il Professore rispose rimettendo le sue osservazioni:

Io le sono veramente riconoscente d’avermi procurato il piacere di conoscere monumenti egizioni trovati in una tomba etrusca. Ho inteso parlar vagamente più volte di simili fatti ma questo è troppo autorevole per non meritare tutta la considerazione degli antiquari. Le iscrizioni geroglifiche incavate sul vasetto, essendo genuine egiziane, ci assicurano della provenienza dell’oggetto che adornano. E non meno certo è il loro senso, poiché sono composti di gruppi già notissimi e comprovati o da iscrizioni bilingui, o da altri irrecusabili riscontri”.

 

E’ da supporre che Luigi abbia chiesto il preventivo aiuto di Padre Maurizio il quale aveva già avuto occasione di studiare quei testi come ci ricordano gli appunti ritrovati nel suo archivio e che sembrano riprendere lo stesso testo mandato in visione al Rosellini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 (Archivio Provinciale OFM di Lombardia, inv. 9AID7 – 9AID7bis).

 

 

Prosegue la lettera con l’esame dei geroglifici e la loro traduzione per concludersi con un cortese e sofferto rimando della sua visita a Canino:

“… rispetto al cortese invito ch’ella mi fa in nome del Principe suo padre, di venire a vedere codesti interessantissimi scavi, s’immagini con quanta avidità io accetterei la gentile offerta! … ma il più forte ostacolo è quello della mia salute… pregandola di far gradire al Principe tutta la mia gratitudine e dispiacenza, spero che potrò forse altra volta procurarmi questo desiderato vantaggio”. (Archivio Padre Maurizio da Brescia – Archivio Provinciale OFM di Lombardia, inv. 9AIIaA4).

 

I due non si potranno poi incontrare: a fine giugno Luciano morì nella sua casa di Viterbo, lo scienziato pisano appena tre anni dopo.

 

Dopo la morte del padre Luigi tornò a vivere in Toscana, più precisamente a Firenze in quella casa che ricevette in eredità

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E che ancora oggi è riconoscibile dallo stemma di famiglia che sovrasta la porta d’ingresso in Via Faentina 32.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1849 venne eletto deputato alla Camera francese e, dopo la proclamazione del II impero, il cugino Napoleone III lo designò senatore; lasciò Firenze e il suo laboratorio fu acquistato dall’Istituto Tecnico (U. Schiff, Il Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze, in “Archeion”, vol.IX, Roma, 1928, pag. 290).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si dedicò allora interamente alla sua grande passione di linguista pubblicando un notevole numero di opere relative alla dialettologia inglese, spagnola, basca e sarda. (1)

 

 

 

 

I suoi lavori sulla comparazione tra i vari dialetti sono ancora oggetto di studio. (2)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Separato dalla moglie, stabilì la sua residenza a Londra dove poté finalmente sposare Clemence Richard, la donna con la quale conviveva e che gli aveva dato l’unico figlio: Clovis.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Visse i suoi ultimi giorni in Italia mentre era ospite a Fano della nipote Fortunata (figlia della sorella Maria e sposata al Conte Giuliano Bracci) ma, come da sue ultime volontà, venne sepolto a Londra nel Saint Mary’s Catholic Cemetery dove riposa accanto al figlio Clovis.

 

Stanno pian piano scomparendo, consumate dal tempo, le scritte scolpite sul lato del sarcofago:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

… IN THE SARCOPHAGUS RESTS

H.H. THE PRINCE LOUIS-LUCIEN BONAPARTE

… GRAND … OF THE LEGION OF HONOUR AND DOCTOR OF …

SON OF

LUCIEN BONAPARTE

MOST DISTING… BROTHER OF NAPOLEON IST AND FIRST …

EARLY LIFE A STUDENT OF CHEMISTRY AND UNTIL HIS OLD AGE DEVOTE …

BORN AT THORNGROVE NEAR WORCESTER 4TH JANUARY 1813

DIED AT FANO IN THE MARCH OF ANCONA IN ITALY … NOVEMBER …

 

 

Fine parte XXV

 

Mauro Marroni

 

NOTE:

1. Jose Antonio Arana Martija, Bibliografia Bonapartiana, Ed.Edita Eusk., 1991. Giovanni Lupinu, Il Principe delle lingue: Luigi Luciano Bonaparte, in: “Il Vangelo di San Matteo voltato in Logudorese e Cagliaritano”, Centro di studi filologici sardi, CUEC, Cagliari 2004. Giovanni Lupinu, La figura di Luigi Luciano Bonaparte nella linguistica ottocentesca, Università di Sassari, Dipartimento di scienza dei linguaggi, 2006.

2. “In sintesi, i dati che abbiamo presentato delineano il ritratto di uno studioso capace di affrontare nella propria opera, in modo quasi sempre degno di nota, una varietà amplissima di tematiche linguistiche. In parte, è vero che il principe non si riteneva tanto un ‘teorico delle lingue’, quanto un ‘procacciatore di materiali linguistici’, da comparare o da proporre alla geniale sintesi di qualche altro studioso: insomma una sorta di grande, e aristocratico, collezionista di lingue e dialetti d’ogni parte del mondo. Tuttavia, ammessa senz’altro nell’operazione di raccolta dei testi plurilingui una componente di “spirito di servizio” nei confronti della comunità scientifica, vale la pena di sottolineare una volta in più che, non disgiunto dall’acquisizione partecipata di tali testi, è vigoroso nell’attività del principe un personale contributo di elaborazione teorica, tale da evidenziare un coinvolgimento non superficiale nel più aggiornato dibattito linguistico europeo, seppure incanalato in un percorso di ricerca sotto diversi aspetti peculiare. In particolare, l’apporto offerto dal Bonaparte alla dialettologia basca, italiana e inglese (ma non solo, come si è visto) pongono con urgenza la necessità di una rivaluta zione di questa straordinaria figura di erudito, per la quale ci pare sottoscrivibile e generalizzabile il giudizio lusinghiero espresso da Johannes Kabatek che, commentando i contenuti della sua corrispondenza col Gonçalves Vianna, ha parlato di una “visión filolóxica impresionante” del principe in tema di linguistica gallega”. (Giovanni Lupinu, La figura di Luigi Luciano Bonaparte nella linguistica ottocentesca, Università di Sassari, Dipartimento di scienza dei linguaggi, 2006).

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