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LE STORIE NAPOLEONICHE

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LUCIANO BONAPARTE ,

PRINCIPE DI CANINO

Mauro Marroni.

 

26^ parte

Mentre a Musignano Luciano stava rimettendo in sesto le sue finanze con i primi ricavi provenienti dalla vendita dei reperti etruschi, in Europa e in Italia prendevano forza i movimenti contro i regimi assolutisti, per i figli adolescenti dei Principi di Canino, quella del 1830 fu l’ultima estate spensierata che passarono nella casa di Abbadia San Salvatore, sul Monte Amiata, immersi nella più grande foresta di faggi in Europa. L’esuberante, romantico Pietro ne approfittò per mettere in poesia i suoi incitamenti ai familiari contro la restaurata monarchia francese:

“….

Congiunti del mio Duce,

La Libertà vi chiama,

Vi porge un ferro, e brama

Di rivedervi in luce.

… “

(Pierre Napoléon Bonaparte, Loisirs, Dupont, Paris 1865. Pag.43 “Luglio 1830”, Abbadia San Salvatore, agosto 1830).

 

A dicembre dello stesso anno a Roma la Segreteria di Stato denunciò la presenza di rivoluzionari che annoveravano, tra le loro fila, anche i cugini di Pietro: Napoleone Luigi e Luigi Napoleone, i figli di Luigi ex Re d’Olanda, che tentavano di unirsi ai rivoluzionari di Romagna.

Dopo che il moto insurrezionale ebbe coinvolto anche il Ducato di Parma e costretto alla fuga Maria Luigia la insurrezione si allargò alle Marche, all’Umbria e, alla fine di febbraio fino al confine con il Lazio, prima di essere sopraffatta dall’intervento austriaco e dalla dura repressione che culminò con la condanna a morte di Ciro Menotti.

Poteva rimanere indifferente chi, solo pochi mesi prima, aveva incitato i suoi parenti perché si mettessero alla testa del movimento rivoluzionario? D’altro canto, poteva Luciano permettere che, dopo la tragica vicenda di Paolo, un altro suo figlio contravvenisse tanto platealmente alle assicurazioni che lui aveva dovuto dare al governo pontificio? Non era forse a conoscenza della strettissima sorveglianza che operavano le potenze vincitrici su tutti i membri della sua famiglia? In una nota riservata al Conte di Lutzow, Ambasciatore austriaco a Roma del 22 gennaio 1831 si legge: “… tutti i membri della Famiglia Bonaparte, sia i padri che i figli, sono in continua corrispondenza colla Francia e particolarmente col Generale Sebastiani onde preparare in Italia un Regno alla loro famiglia, ponendo su questo trono per prima il Duca di Reichstadt” (Archivio di Stato di Milano, Presidenza di Governo, Atti riservati, cart.141, anno 1831, fasc.95. Citato in: Luigi Signorelli, Pietro Napoleone Bonaparte e Gregorio XVI, Rassegna Storica del Risorgimento, Maggio 1940, Fasc.V, pag.625).

 

Uguali pressioni venivano da Napoli dove ogni nuova notizia veniva utilizzata per rinnovare la richiesta di allontanamento dei Bonaparte dallo Stato della Chiesa; in una nota del Ministero di Polizia del 22 marzo 1833 leggiamo: “… voglia somministrare tutte le precise e indubbie nozioni che possiede, mediante i suoi agenti, sulla riprovevole condotta degli individui della medesima Famiglia, che trovansi in Firenze, per poter dimostrare pericolosa ed esiziale la lor dimora in Italia e per ottenere quindi favore alla nostra domanda” (Dal Ministro e Real Segreteria di Stato agli Affari Esteri al Mi- nistro Segretario di Stato della Polizia Generale. In: L.Signorelli, op.cit.)

Per evitare un prevedibile nuovo dramma il Principe di Canino, saputo che Pietro aveva lasciato Canino per raggiungere i cugini, ne denunciò la fuga e lo fece arrestare mentre era in viaggio verso la Toscana. Pietro si rivolse allora alla nonna Letizia perché intercedesse presso il padre ma vane furono anche le preghiere di “Madame”: questa volta Luciano non voleva rischiare e fece rinchiudere il figlio nel carcere di Livorno. In una lettera indirizzata al suo corrispondente di quella città toscana, da Abbadia San Salvatore il Principe comunica che il latore è “un vecchio servitore” che accompagna il figlio Pietro “il quale è stato da me condannato ad un anno di fortezza per espiare le sue colpe di gioventù traviata” (Archivio Faina, Carte Bonaparte XLVII, XXVII, 1).

I fatti dimostrarono presto che la fermezza del Principe di Canino era più che giustificata: dei due cugini di Pietro, il primo, Napoleone Luigi a metà del mese di marzo, in fuga verso la Romagna, si ammalò e morì poco dopo essere arrivato a Forlì e il secondo, Luigi Napoleone, fu costretto a riparare in Grecia.

Mentre Pietro era in procinto di andare a scontare la sua pena, trovò il tempo, ancora ad Abbadia, per mettere in rima il suo commento ai tristi eventi:

 

“Povera Italia! La romana corte

Dallo spirto di Cristo inabitata

Chiama i Tedeschi a strigner le ritorte,

Che t’hanno al vecchio seggio vincolata.

….”

 

(Pierre Napoléon Bonaparte, op.cit., Pag.45, “Il non-intervento”, Abbadia San Salvatore, 1831).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non c’è da stupirsi di fronte a questi comportamenti che sembrano segnare una distanza incol- mabile tra appartenenti alla stessa famiglia.

Quante volte Luciano avrà espresso i suoi convincimenti repubblicani di fronte ai figli? Quante occasioni avranno avuto in famiglia per rievocare i trascorsi giovanili del Principe, la sua esperienza di giovane capo giacobino, il suo impegno per rafforzare le istituzioni repubblicane, la sua avversione ai disegni assolutistici dell’amato-odiato fratello? Quanti i progetti e le discussioni sopra la possibilità che la famiglia Bonaparte potesse di nuovo rappresentare il punto di riferimento per tutti quelli che, in Italia e in Europa, non volevano rassegnarsi al ritorno di regimi tanto palesemente fuori da una storia che stava invece affermando i principi di uguaglianza e libertà?

Questi sono i temi, i principî, gli ideali che nutrirono in quegli anni le menti dei giovani figli di Luciano e Alessandrina, i quali non esitarono nei più diversi tentativi di uniformarvi le loro azioni. Paolo andò a morire giovanissimo insieme a quanti partirono per difendere la Grecia dall’oppressione ottomana; Carlo, il primogenito, fu tra i più strenui difensori della Repubblica Romana e degli ideali risorgimentali, coinvolgendo poi anche il fratello Luigi nella organizzazione dei Congressi degli Scien- ziati Italiani; la sorella Maria fu paladina degli insorti di Perugia.

Poteva forse rimanerne fuori il più “sanguigno” di tutti?

 

Allo stesso tempo il loro padre era chiamato “anche” a salvaguardare l’incolumità e gli interessi di una famiglia di dodici figli! Dopo l’avventura dei “Cento giorni” il prezzo che dovette pagare per ottenere il permesso di rientrare nello Stato della Chiesa e riprendere possesso delle sue case e delle sue proprietà fu il proprio solenne impegno che dovette dare al Papa che né lui né altri della sua famiglia avrebbero creato ulteriori problemi alla politica estera della Santa Sede; che né lui né altri suoi familiari avrebbero turbato in alcun modo il ristabilito ordine pubblico; che, addirittura, non si sarebbero allontanati dalle loro residenze senza specifici permessi.

Ecco allora spiegate le intransigenti decisioni del Principe di Canino: come fu immediatamente denunciato l’allontanamento di Paolo che lasciò gli studi di Bologna per imbarcarsi alla volta della Grecia, così fu bloccato sul nascere il velleitario tentativo del minorenne Pietro; nel primo caso il fuggitivo venne “ripudiato”, nel secondo, con una decisione più realista di quella che avrebbe preso il Papa Re, ne richiese il preventivo arresto.

Pietro rimase pochi mesi nella fortezza di Livorno; a gennaio del 1832 gli venne infatti concesso di partire per gli Stati Uniti dove andò a raggiungere il fratello Carlo e lo zio Giuseppe.

In quegli anni l’ex Re di Napoli e di Spagna, il primogenito della famiglia Bonaparte, insieme al figlio di Napoleone, il “prigioniero austriaco” Re di Roma, rappresentava, per i bonapartisti, il punto di riferimento di un’auspicata rivincita. Se Luciano era particolarmente attento perché non sorgessero malintesi circa la sua fedeltà al Papa, non esitava invece a riaffermare la sua fede repubblicana quando si teorizzava dei destini della Francia. Eloquenti, in tal senso, alcuni passi della lettera che il 15 no- vembre 1832 da Canino indirizzò al figlio Pietro ancora in America, dove stava tentando una impro- babile carriera militare, esortandolo a rimanere al servizio del Presidente della Colombia “... fino a che la Provvidenza non restituisca alla nostra bella Francia un governo repubblicano ... la Repubblica Consolare che più di ogni altro avevo fondato era la sola vera ancora di salvezza per la Francia ...“. Nella stessa lettera Luciano gli dà anche notizie su Antonio, anche lui partito per gli Stati Uniti: “Antonio non ha trovato Giuseppe e mi scrive che si prepara a tornare in Europa. Ahimè, cosa si può fare? Avevo desiderato che seguisse il tuo esempio. Possa almeno tu fare una carriera onorevole!

(Félix Wouters, Histoire de la Famille Bonaparte, Libr. Ethnogr., Paris 1849, pag.199).

ANTONIO

 

Ultimo dei figli maschi di Luciano e Alessandrina, nacque a Frascati il 31 ottobre 1816, quindi esattamente un anno dopo Pietro. Pressoché coetanei, una particolare robusta costituzione fisica li rendeva tanto simili tra loro quanto lontani da quella che caratterizzava i fratelli più grandi.

I due vissero inseparabili gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza.

Insieme furono cresimati dal Vescovo di Acquapendente nella cappella privata del palazzo di Canino

 

 

 

 

 

 

 

come risulta dal registro che ancora conserva gli atti della Chiesa Collegiata. Padrino di Pietro fu il fratello maggiore Carlo e di Antonio Sir Thomas Wyse il quale solo venti giorni prima a Canino aveva sposato la sorella Letizia.

Insieme entrarono, ancora fanciulli di 9 e 10 anni, nel Collegio dei Nobili di Urbino come, sotto la data del 17 aprile 1824, risulta dallo stesso registro in cui sono segnate le date di ingresso dei fratelli maggiori Paolo e Luigi (ASPEM Archivio Storico della Provincia Euro-Mediterranea, Societatis Jesu, Vol.501), insieme ne uscirono dopo soli diciotto mesi quando sia il Rettore che il loro padre si resero conto che, come gli altri fratelli più grandi, non si sarebbero mai assoggettati alle rigide regole del convitto dei Gesuiti (Vedi: Mauro Marroni, Paolo Bonaparte, il maremmano morto per l’indipendenza della Grecia, Editrice Silvio Pellico, Montefiascone 2020).

Sempre insieme seguirono allora gli insegnamenti che l’Arciprete di Canino Don Giovanni Spaccari e il paziente cappuccino Padre Maurizio impartivano loro evidentemente quando riuscivano a sospendere la loro attività principale che era quella di scorrazzare liberamente nelle campagne di Canino e Musignano.

Fino a quando, appena adolescenti, non si sentirono talmente liberi da contravvenire anche alla disciplina paterna e allontanarsi da casa nel tentativo di unirsi ai cugini Napoleone Luigi e Luigi Napoleone i quali intendevano andare a dare manforte ai rivoluzionari delle Marche. In quell’occasione li fermò il tempestivo intervento del padre che fece allertare la Gendarmeria Pontificia e Granducale con specifica richiesta di arrestare i due.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Archivio Roberto Lanzi - Saggio di fine anno 1826 predisposto da Padre Maurizio da Brescia per i figli di Luciano Bonaparte.

 

 

Fu per loro la prima esperienza restrittiva che non servì peraltro, come vedremo, a soffocare lo spirito ribelle che li animava.

Come abbiamo visto, senza esito fu il tentativo che Antonio fece di emulare il fratello nel viaggio d’esilio negli Stati Uniti. Tornò invece ad abitare con la madre nelle case di Canino, Musignano e Abbadia dove, apparentemente senza più freni (Luciano era a Londra dal fratello Giuseppe) non tardò a mettersi di nuovo nei pasticci con la gendarmeria granducale quando, da Arcidosso denunciarono: “L’immoralità, la prepotenza e l’audacia del giovane Antonio, figlio di Luciano Bonaparte poco mancò che nella sera del 7 (ottobre 1834) non facesse nascere in questa terra un serio tumulto popolare” (Andrea Corsini, I Bonaparte a Firenze, Olschki, Firenze 1961, pag.131).

In quella occasione, a quanto riferisce il Corsini, Antonio non si fece mancare nulla: cercò di importunare la cameriera della locanda dove voleva alloggiare, un Cancelliere cliente della locanda e un carrettiere. Venne pertanto fermato e tratto di nuovo in arresto a Pitigliano, dove rimase finché la madre non ebbe pagato le spese del suo mantenimento in prigione (A.Corsini, op.cit.).

Quando il padre, finito il lungo soggiorno londinese, tornò alle case di Canino, Antonio riprese le sue frequentazioni nel Granducato di Toscana e, nel 1839 sposò a Firenze Maria Anna Cardinali, poi chiamata Carolina.

 

Quando il cugino prese il potere in Francia con il titolo di Napoleone III, Antonio, come leggiamo sul dizionario dei parlamentari presso l’Assemblea Nazionale: “Il 15 ottobre di quest'anno è stato eletto dalla coalizione dei conservatori dell'Yonne Antoine Bonaparte ha sostituito il defunto rappresentante Robert nell'Assemblea. Sedeva a destra, e votava, senza comparire in tribuna, con la maggioranza monarchica. Appoggiò la politica del cugino Luigi Napoleone, il quale però, dopo il colpo di stato e la rifondazione dell'Impero, evitò di conferirgli gli stessi onori che gli altri suoi parenti”.

 

 

 

Al termine del mandato, nel 1851, i due coniugi tornarono a Firenze dove sembra che Antonio, facendo tesoro della sua esperienza in terra di Borgogna, si occupò del commercio di Champagne. I due coniugi, che non ebbero figli, frequentarono sporadicamente la nobiltà lì riunita durante il breve periodo in cui Firenze restò capitale d’Italia.

 

 

A Firenze morirono i due coniugi a distanza di due anni, nel 1877 Antonio e nel 1879 Carolina e furono sepolti nel cimitero di San Miniato. Sulla lapide di Antonio, Carolina fece incidere una epigrafe che sembra restituirgli un po' di quella considerazione che non ebbe in vita.

 

SULLA SALMA DEL PRINCIPE

ANTONIO BONAPARTE

DI ALTO SENNO - ORNATO DI RARE COGNIZIONI

GENEROSO - MODESTO - AFFABILE

AMÒ FRANCIA E ITALIA E PREDILESSE FIRENZE

OVE MORÌ COMPIANTO DA TUTTI

IL 27 MARZO 1877 A 60 ANNI DI ETÀ

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LA SUA DESOLATA VEDOVA P.SSA CAROLINA

ALLA CARA E VENERATA MEMORIA

QUESTA LAPIDE POSE

 

 

A dire il vero anche il quotidiano “La Nazione”, giovedì 29 marzo 1877, nel dare la notizia della morte di Antonio, forzando un po' il giudizio sul “Governo papale”, pubblicò una stringata ma benevola biografia:

Annunciamo con vivo rammarico la morte di S.A. il principe Antonio Bonaparte, avvenuta la sera di martedì a ore 10 dopo lunga e penosa malattia. Egli era il quarto figlio di Luciano, nac- que il 31 ottobre 1816 e fu educato in Italia da suo padre. Nel 1832 passò in America e quindi negli Stati Pontifici, da dove fu costretto ad allontanarsi al seguito di molestie fattegli subire dal Governo papale, ed ove ritornò dopo la rivoluzione del 1848. Nel 1849, recatosi in Francia, fu eletto deputato all’Assemblea legislativa nel collegio di Yonn, e dopo ilo colpo di stato del 2 di- cembre si ritirò in Firenze. Egli sposava nel 1829 Maria Carolina, nata nel 1813 e figlia dell’Avv. Cardinali di Lucca.

Lo stesso Re Vittorio Emanuele volle esprimere le sue condoglianze alla vedova per la perdita di “un caro amico per il quale nutrivo il più grande affetto” (A. Corsini, op.cit., pag.135).

 

 FINE PARTE 26

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